Dati Istat sull’occupazione: la crescita è senza occupazione fissa

Dati Istat sull’occupazione: la crescita è senza occupazione fissa

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Il mercato del lavoro italiano è stagnante e crescono i contratti a termine. La legge fondamentale della ripresa senza occupazione fissa – la cosiddetta «Jobless recovery» – è confermata dall’Istat nel primo trimestre del 2018. Crescono i dipendenti a termine di 69 mila unità, mentre calano quelli a tempo indeterminato di 23 mila insieme ai lavoratori autonomi (meno 37 mila).
Qualcuno potrebbe pensare che questo andamento riguardi solo il 2018. Per nulla. È una tendenza strutturale del mercato del lavoro, razionalizzata dalla «riforma» dei contratti a termine voluta dal governo Renzi che ha cancellato la «causalità» per cui un contratto a termine si «accende».

Confrontiamo, ad esempio, i dati con quelli del primo trimestre dell’anno scorso. Ci sono 147 mila occupati in più, ma l’aumento è dovuto solo i tempi determinati, mentre calano sia i posti stabili sia gli autonomi. Questa è la realtà. La tendenza è la trasformazione di ciò che oggi conosciamo come «lavoro subordinato a tempo indeterminato» in lavoro «casualizzato». Questo termine, adottato anche dall’Organizzazione Internazionale del lavoro (Ilo), indica il passaggio da impieghi preponderanti a tempo pieno e a tempo indeterminato a impieghi occasionali e a contratto. Dunque, usiamo lo stesso concetto – «lavoro» – ma la sua realtà sta cambiando radicalmente, a cominciare dal salario, per finire alla continuità contributiva. «Lavoro» non indica più la forma salariata predominante in tempi andati, ma quella della piena occupazione precaria. Da tenere a mente quando il neo-ministro del lavoro metterà mano a una nuova riforma del contratto a termine. Sarà in grado, o meno, di invertire questa tendenza? Quando il nuovo governo dirà di «avere aumentato l’occupazione» si dovrà tenere conto di quale occupazione si parla.

Un’altra costante è la stagnazione del tasso di occupazione. L’Istat conferma: è «sostanzialmente invariato», al 58,2%. Questo significa che l’aumento dell’occupazione precaria non coincide con una crescita significativa di nuovo lavoro, ma nella costante riqualificazione contrattuale di quello già esistente. Ad esempio le trasformazioni da tempo parziale a tempo pieno, soprattutto per quanti svolgevano un part-time involontario. Oppure l’occupazione giovanile: cresce tra 15-34 anni. è tutta a termine, fatta di «lavoretti», tirocini, stage. Cresce la disoccupazione. Dopo il calo dei tre mesi precedenti, aumenta di 0,1 punti portandosi all’11,1% rispetto agli ultimi tre mesi del 2017. L’aumento è dovuto a chi è uscito dall’inattività (il tasso è sceso al 34,4%) e ha cercato almeno una volta un lavoro. E ora risulta disoccupato. Uno stormire di foglia nella stagnazione secolare.

FONTE: Roberto Ciccarelli, IL MANIFESTO



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