Il talento del Nord

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Così il cibo per la mente resta un’industria che tira. Solo il 22% ritiene vane queste spese Però qui le famiglie investono la metà  di quelle norvegesi parigi – Nel 2009 l’Ue ha continuato a esportare più prodotti culturali di quanti ne ha importati, con un surplus commerciale pari a 1,9 miliardi di euro. I cittadini europei vanno più al cinema, a teatro o nei musei di tutti gli altri popoli: uno su due lo fa almeno una volta durante l’anno. «La cultura continua ad avere un ruolo preponderante nella nostra vita quotidiana» osservano i ricercatori dell’ufficio statistico della Commissione europea. Solo il 22% la considera come un’attività  vana, superflua. Anche in un periodo di crisi e di riduzione del potere d’acquisto, le famiglie non hanno tagliato su questo piacere. Se c’è da risparmiare, si taglia prima su ristoranti e shopping. Solo il 9% degli intervistati ha diminuito la spesa nelle attività  culturali. I consumi hanno resistito agli aumenti dei prezzi. Tra il 2005 e il 2010, è infatti cresciuto il costo di musei e concerti (+13,3%), così come quello dei libri: 6,5% nella media europea. Ma l’interesse ha continuato a lievitare, soprattutto tra i giovani. Gli studenti universitari impegnati in corsi legati alle arti sono 725 mila, ossia il 3,8% del totale, con punte massime nel Regno Unito (6,8%) e in Irlanda (6,6%). L’industria culturale europea resiste e anzi rappresenta il miglior biglietto da visita dell’Ue che spesso fatica a rappresentare di sé un’immagine unita. L’anno scorso 3,6 milioni di persone hanno lavorato nella cultura (1,7% dell’occupazione totale). La maggioranza degli addetti del settore è donna, per lo più con contratti a tempo e precari. L’Italia è uno dei Paesi con il più alto numero di lavoratori in questo settore. Ben 120mila artisti, registi, musicisti, scrittori o altri “creativi” a vario titolo. Siamo ai primi posti, superati solo dalla Germania, Gran Bretagna e Francia. Eppure il nostro consumo culturale è tra i più bassi d’Europa, meno del 3% sul bilancio annuale di una famiglia, pari a 833 euro. Paradossalmente, la nostra forte produzione culturale non è sostenuta da una domanda nazionale. In tutte le classifiche stilate da Eurostat, i nostri consumi sono sotto alla media dell’Ue. Meno della metà  degli italiani (46%) entra almeno una volta l’anno in una sala cinematografica, contro 54% dei francesi, 57% degli inglesi, 70% degli islandesi, campioni assoluti. Nell’ultimo anno, solo il 30% degli italiani è andato a vedere uno spettacolo dal vivo, e appena il 27% degli italiani ha visitato un museo o un sito archeologico. La stessa contraddizione si verifica nell’editoria, un settore che da noi conta oltre 5.600 imprese, superando la Gran Bretagna, e dietro solo alla Francia, leader del settore. La ricchezza dell’editoria italiana contrasta con gli scarsi lettori del Belpaese. Tre italiani su 10 non hanno l’abitudine di comprare un quotidiano, record negativo assoluto. Meno di 6 italiani su 10 hanno sfogliato almeno un libro nell’ultimo anno: dato più basso d’Europa, fa peggio solo il Portogallo. Al primo posto ci sono di nuovo Svezia e Finlandia. In questi Paesi quasi il 30% dei cittadini ha letto più di dodici libri in un anno, una rispettabile media di uno al mese. Non sorprende dunque che siano proprio gli svedesi ad avere nelle loro case le librerie più fornite. La metà  di loro possiede oltre cento volumi, rispetto al 30% degli italiani. Anche sulla nuova frontiera di Internet, dove si ritrova ormai gran parte della produzione culturale, l’Italia si attesta in fondo alle classifiche di Eurostat. Poco più della metà  degli italiani era collegato alla Rete nel 2009, mentre in tutti i Paesi scandinavi la media superava già  l’80%. Non siamo pronti a comprare prodotti culturali online, come fanno già  molti nostri vicini europei. Per i libri, ad esempio, i nuovi acquirenti sul web sono aumentati di appena un punto percentuale tra il 2006 e il 2010, dal 6 al 7%. Su canzoni e film non c’è stata alcuna progressione. La terra promessa può attendere. L’Italia è in controtendenza rispetto all’apertura sul mondo del continente. In Europa gli scambi culturali si sono rafforzati: ormai 56% di quello che leggiamo o guardiamo proviene da Paesi extracomunitari. Persino nelle nostre abitudini di tutti i giorni, c’è una esterofilia pronunciata: 45% delle persone del campione Eurostat ama mangiare cucina straniera, 27% ha viaggiato almeno tre volte all’estero nell’ultimo anno o ha un amico oltreconfine. Al livello europeo, 19% dei cittadini guarda spesso la televisione e i film in lingua straniera, con punte altissime per svedesi (73%) e finlandesi (59%). Da noi, la percentuale è risibile: appena il 3% degli italiani è disposto a guardare una pellicola non doppiata. I nordeuropei si lanciano nella lettura di libri non tradotti, in inglese, francese o spagnolo. L’Italia è agli ultimi posti: solo 2% di italiani tenta l’impresa, peggio di noi solo la Bulgaria. L’eccezione culturale europea è comunque minacciata. L’austerity dei governi pesa ovunque sui bilanci pubblici per la cultura. «Ma tutti riconoscono l’importanza di questo settore nella società , nell’economia e nella coesione di una Paese» conclude l’ufficio statistico dell’Ue. Su questo almeno non esistono differenze, né tra le varie nazioni, né tra le diverse categorie. Dalla Norvegia alla Spagna, dall’Irlanda alla Grecia c’è un vasto consenso. Il 91% degli intervistati da Eurostat considera questo settore fondamentale per sviluppare la tolleranza tra i popoli. Anzi: quasi la metà  degli europei vorrebbe che i governi facessero di più per sviluppare l’offerta culturale. Forse è un rapporto da mandare in busta chiusa all’attuale governo italiano.


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