Adesso sbanda la Lega

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 L’affondo del presidente della Repubblica contro l’ultimo pilastro del governo – la Lega – non può non scuotere una maggioranza da mesi (anni) già  molto traballante.

Ufficialmente la reazione del Carroccio è identica a quella del passato: incassare, fare finta di niente e niente attacchi diretti al Colle da parte dei big. «Napolitano è sempre molto saggio ma fa finta di dimenticare il diritto universalmente riconosciuto alla autodeterminazione dei popoli…», commenta Roberto Calderoli. «Il presidente – aggiunge il ministro – sa bene che la Lega da oltre 20 anni è garanzia di democrazia». «In democrazia ognuno è libero di pensarla come crede», chiosa il capogruppo in senato Federico Bricolo.
Ma il Carroccio è il partito più antico presente in parlamento. E sa che il senso più profondo del messaggio del Quirinale non è soltanto l’inevitabile promessa della repressione contro chiunque volesse rompere l’unità  nazionale. E’ soprattutto la richiesta al parlamento di cambiare il «porcellum» subito, anche prima del referendum. Non è un caso, infatti, che i primi a rispondere al monito di Napolitano siano stati Gianfranco Fini e Pier Casini, glissando completamente sul tema della secessione.
Il presidente della camera attende solo pochi istanti dalle parole del Colle per auspicare che l’attuale legge elettorale venga cambiata «non necessariamente attraverso la celebrazione del referendum, ma piuttosto in parlamento». Stessa linea del leader dell’Udc che si premura però di aggiungerne i paletti politici: deve «superare il bipolarismo» e «restituire ai cittadini la possibilità  di scegliere i propri parlamentari». Un punto, il bipolarismo, che scava un fossato con le ambizioni di Berlusconi, che ha bisogno dei centristi come il pane ma sulle alleanze coatte fatte prima del voto e non dopo non ha mai voluto mollare.
Cambiare il porcellum è più facile a dirsi che a farsi. Due anni fa, a giugno 2009, il referendum bipartitico Segni-Guzzetta non raggiunse il quorum (si fermò al 23%). E da allora la discussione passa dal sistema neozelandese a quello spagnolo passando per l’israeliano e il tedesco come se nulla fosse. Fare una sintesi, in questo parlamento, appare difficile.
Lo stesso Berlusconi è riluttante. In privato, ha giudicato «un attacco a freddo» l’affondo di Napolitano. Ma è consapevole anche che tutto il Pdl lo spinge per agganciare Casini e non a caso proprio nel vertice dell’altro ieri ha insistito con la Lega per mettere il tema almeno formalmente al centro dell’agenda invernale, ricevendo un secco no. Bossi infatti non rinuncerà  al «porcellum» tanto facilmente, anche perché sa che è un modo sicuro per provare a cannibalizzare i voti del Pdl al nord.
Il referendum è la pistola sul tavolo che costringe la politica a cambiare la legge elettorale. Ma finché regge l’asse Bossi-Tremonti regge il governo e dunque – con tutti i suoi evidenti limiti – anche Berlusconi. Certo, colpire con questa ruvidezza proprio il senatur, lascia pensare che Napolitano scuota l’albero della politica per far cadere quei frutti che un nuovo clima di responsabilità  nazionale potrebbe far maturare definitivamente.
Sta di fatto che la Lega è completamente isolata. Non una voce si leva dal Pdl a “difesa” dell’alleato. Mentre Pd, Idv e Udc elogiano al massimo le parole del presidente della Repubblica contro la secessione e i Verdi invitano i ministri leghisti a lasciare il governo. Inviti chiarissimi a staccare la spina… «Hanno paura. E dopo aver attaccato Berlusconi per farlo dimettere senza riuscirci, ora attaccano noi sperando di far saltare il banco», concorda un dirigente leghista vicino a Bossi. «Per noi – spiega Rosi Bindi – il presupposto alla riforma elettorale è che ci sia un governo che consenta una collaborazione vera tra maggioranza e opposizione, ma vedo molto difficile che possa accadere adesso. Berlusconi dovrebbe dimettersi e aprire la fase della responsabilità  nazionale». Su un passo indietro del Cavaliere i deputati «maroniani» non sono insensibili: «E’ evidente che se perdura questo stallo il rischio che salti tutto è forte. Ma c’è molto margine per il centrodestra, e la Lega può ancora fare politica, prima di tornare alla propaganda delle origini». La divisione tra maroniani e cerchio magico dilania la base leghista. Oggi e domani un primo assaggio dal congresso di Brescia dove si vota per il segretario provinciale, candidati un maroniano (Fabio Rolfi, vicesindaco del capoluogo) e un filo-Bossi (Mattia Capitanio). Domenica 9 si vota invece a Varese, città  in cui la Lega è nata e dove sono iscritti i big del partito: Maroni, il segretario lombardo Giancarlo Giorgetti, il capogruppo alla camera Marco Reguzzoni e la moglie di Bossi Roberta Marrone. Bossi non voterà  perché iscritto a Milano e neanche suo figlio. Il Trota infatti è solo un «sos» (socio sostenitore), la sua richiesta di passare al gradino successivo «som» (militante) è ancora in attesa di accettazione a Varese. Al momento non ci sono candidature ufficiali, ma due nomi di bandiera (Maurilio Canton e Donato Castiglioni), per i nomi veri si dovrà  aspettare lunedì. I gossip sparano Rosi Mauro (indimenticabile quando presiedendo la seduta al senato quasi riuscì ad affossare la riforma Gelmini) che i maligni chiamano la «badante di Bossi». Pare che anche la moglie di Bossi abbia un uomo da piazzare mentre i maroniani stanno decidendo in queste ore il nome giusto. L’ultima parola spetta ai circa 400 delegati dell’assemblea provinciale sotto la presidenza del vice governatore lombardo.


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