L’atto costituente dei «comunardi»

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 ROMA . D’ora in poi chiamateli «comunardi». È questo il nome che gli occupanti del teatro Valle hanno scelto per definirsi nello statuto che trasformerà  lo storico teatro romano in una fondazione. «Comunardo» è l’appellativo usato surante il governo rivoluzionario della «Comune» parigina nel 1871, Ieri, nel corso della conferenza stampa dove è stata presentata la proposta di legge scritta insieme a Ugo Mattei e Stefano Rodotà , centinaia di persone l’hanno ascoltato nuovamente. Nel nuovo statuto del teatro Valle, una delle conquiste più avanzate dei movimenti sociali di base degli ultimi anni, il comunardo sarà  «il portatore di doveri di lavoro periodico per la cura e il governo del teatro». Ed applicherà  uno degli articoli della Costituzione mai rispettati. Il Valle è un «bene comune» perché, stando all’articolo 43, permette alle comunità  dei lavoratori e degli utenti di gestire un laboratorio creativo, giuridico e politico a disposizione di tutti.

Lo «statuto partecipato» elaborato nei primi 4 mesi di occupazione è consultabile sul sito valleoccupato.it. I suoi centomila visitatori mensili potranno emendarlo grazie ad una piattaforma open source ideata appositamente per favorire un processo deliberativo unico nel nostro paese. A differenza dell’Islanda, dove la Costituzione è stata emendata su Facebook, i comunardi del Valle hanno scelto un software non proprietario che garantirà  la massima inclusività  decisionale anche ai 19 mila utenti del loro profilo Facebook. Questo processo si concluderà  a novembre e, insieme agli articoli sulla «vocazione artistica», la «formazione» e il «codice politico» ancora in bozze, confluirà  nella legge che regolerà  la fondazione «Teatro Valle Bene Comune».
«L’innovazione è profondissima – ha spiegato il giurista Ugo Mattei – perché lo statuto coniuga le esigenze del governo di un bene comune con la tutela dei diritti dei lavoratori dello spettacolo, insieme a quelli del pubblico e dell’intera cittadinanza». I principi-guida di una proposta che è riuscita a conciliare il diritto con la politica e l’atto creativo sono ispirati alla democrazia diretta. All’origine di tutto c’è un’assemblea aperta sia alle professioni dello spettacolo che ai cittadini comuni. «Ci auguriamo – hanno detto gli occupanti – che sia la più ampia possibile fino anche aa riempire uno stadio intero». Poi c’è la natura «turnaria» e trasparente delle cariche (dal direttore artistico nominato per concorso all’Esecutivo che risponde all’assemblea). Si vuole così ridurre a zero il ruolo parassitario che la politica esercita nel pubblico e nel privato attraverso il sistema dello spoil system. C’è poi il principio di «una testa, un voto». «Chi entrerà  in questa fondazione che persegue finalità  di solidarietà  sociale – ha aggiunto Mattei – può versare 50 euro o 1 milione, ma avrà  gli stessi diritti e doveri. Rompiamo così con l’idea privatistica per cui chi mette più soldi conta di più». Ieri è iniziata la «transizione» che porterà , entro il 20 ottobre del prossimo anno, alla costituzione di un «ente» che avrà  in dotazione 250 mila euro da raccogliere con una sottoscrizione pubblica. Gli occupanti si dicono fiduciosi sulla possibilità  di raggranellare questa cifra. Nel frattempo si sono costituiti in un comitato che avrà  il ruolo di guidare un percorso difficile e innovativo. Il suo ruolo terminerà  quando partirà  la fondazione. Nei prossimi dodici mesi verrà  dunque sperimentato un modello di auto-governo basato sull’azionariato popolare e sulla direzione artistica a rotazione. Per questo incarico si è già  candidato il fior fiore della scena teatrale italiana e internazionale: da Peter Stein a Romeo Castellucci, da Cesare Ronconi a Pippo del Bono, da Thomas Ostermeier a Danio Manfredini fino a Paolo Rossi. E presto verrà  definito il «centro per la drammaturgia contemporanea», l’altro punto forte di uno statuto che articola le esigenze della formazione ai mestieri del teatro insieme a quelle della scrittura e del pensiero sul presente. La proposta degli occupanti è stata preceduta da quella del sindaco di Roma Gianni Alemanno che contraddice quella di una «Casa dei teatri» fatta dal suo assessore alla cultura Dino Gasperini. Gli occupanti del Valle hanno chiarito che una trattativa con il Comune partirà  solo dall’analisi della loro proposta. «L’ occupazione del teatro ha stimolato la loro creatività  – hanno detto – ma prima di parlare con noi trovassero almeno un accordo tra loro. Quello che va scardinato è il meccanismo che porta a queste decisioni prese dall’alto. Bisogna invece promuovere un confronto con i lavoratori e le persone coinvolte nella vita degli spazi culturali».


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