L’urgenza dell’automa

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«Sms, Simboli, Misteri, Segni», memorie cellulari per le Edizioni Punto Rosso Non un’antropologia normativa. La disciplina davvero necessaria e all’altezza dei tempi che precipitano, è un’«indisciplinata» archeologia del presente, che scavi per strati, fino alle ragioni dell’edificare. Deve essere stato questo l’intendimento di Raffaele K. Salinari nel comporre le cellule-memorie di Sms, Simboli, Misteri, Segni (Edizioni Punto Rosso, pp 213, euro 8). Non un progetto razionale ma sentimentale, quasi una retrospettiva dell’infanzia di sé e del mondo, alla ricerca di una motivazione primigenia: l’urgenza dell’automa o, meglio ancora, l’urgenza di un bene automatico, interpretato in un segnale. Che soccorra come madre naturale a tutelare il valore della nostra vita che da tempo non trova più, spiega Franco Farinelli nell’introduzione, il sentiero della scelta, della politica che riconduca la polis dentro l’urbs e la civitas, e queste fra loro.
Così l’acronimo cellulare sms, short message system, diventa per Salinari l’itinerario tutto da illuminare dei simboli-misteri-segni. Come questo strumento digitale minimo, si propone lo scavo con una semantica abbreviativa tutta particolare. Anche se la strada intrapresa non è per scoprire un linguaggio o la misura d’un verso. Qui la ricerca è materiale: fatti da rendicontare, avvenimenti da inverare al presente, comunicazioni da svelare e codificare in un alfabeto personale. Il tragitto, spiega sempre Franco Farinelli nell’introduzione, è per un ritorno dentro di sé. Quasi a suggerire che se il bisogno della strumentazione digitale si sustanzia nella merce reificata di un prodotto materiale, all’ordine del giorno del lavoro di Salinari c’è quasi la costruzione di un «cellulare» o di un «computer» interiore. Con un inventario sorprendente di materiali, organizzato in storie, che fa trasalire per i contenuti e le scoperte.
Che rapporto può esserci infatti tra il «Cratere di Eufronio» e «Il primo Cyborg». E di entrambi con «Pasolini e le lucciole»? E ancora che c’entra «Benjamin e il Turco» con la ricerca su «Stalin in Italia»? E entrambi con la rivelazione del «Cuore di tenebra» in una Venezia che gli approdi delle disperazioni migranti connettono ormai all’Africa?
Il rapporto consiste nella rivelazione epifanica, la «prima volta» dell’accadimento e del messaggio catturati nella vitalità  al presente. Non la riproduzione del mito ma il suo svelamento. Sul vaso attico è tracciata la cronaca, resa famosa dal canto XVI dell’Iliade, della morte in duello sotto le mura di Troia di Sarpedonte, fratellastro di Elena ucciso da Patroclo, ma soprattutto il racconto della sua traslazione: raccolto e spogliato delle armi, verrà  assunto in volo dai gemelli Hypnos e Thanatos. Si rifletta solo un attimo sul fatto che il trasporto doloroso, sviluppato intorno al vaso con una abilità  pittorica che imita le forme in movimento, allude ad una carnale incertezza che scansa la morte per proporre l’accettabile lungo, moderno, grande sonno.
Del resto, che di itinerario dentro l’epifania si tratta è confermato dal modo originale di affrontare «le lucciole» di Pasolini: non già  solo scoperta di un residuo ambientale relegato alla nostalgia di un tempo pre-progresso, ma tout-court la luce, scoperta nudo in una danza primigenia, adolescenziale a Paderno. Resocontato nell’altra folgorazione citata del film «Accattone» che apre le braccia non al vuoto, ma alla luce. Quando, chiudendo gli occhi, tenta d’illuminarsi dentro, nel tuffo che fa dal Ponte degli angeli a Roma.
Al cuore del saggio di Salinari c’è la fascinazione per «il Turco», il famoso automa dell’Ottocento capace di battere a scacchi Napoleone e i migliori sfidandi occidentali, così misterioso eppure rivelato nell’iconografia meccanica di un improbabile arabesco esotico. Questa figura enigmatica come la sua costruzione, sono state motivo di innamoramento per matematici come Babbage ma anche per «angeli nuovi» come Walter Benjamin che, probabilmente, è riuscito a spiegare le motivazioni di questo amore. All’origine della fascinazione per il Turco, c’era infatti per Benjamin l’impressione che esso fosse uno straordinario essere animato «felice nei metodi adottati per suscitare l’illusione». Gli spettatori bambini ritrovavano al suo cospetto il mistero perso nelle pieghe dell’età  adulta. Insomma, per capire il chi è del Turco è necessario, scrive Salinari, tornare alle visioni infantili. Alle pulsioni epidermiche e indifese della necessità  del bene automatico.
Ma è la chiusura del saggio per racconti a sconcertare. Quando, nella tenebra dell’Africa, l’autore riceve una profezia pigmea sulla sua natura; per ritrovarla, negli stessi tratti e modalità , confermata da un elemosinante nelle pieghe veneziane sospese tra acqua e sogno, nascita e incertezza. Dall’origine all’origine: segni, simboli e misteri.


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