Paperoni sempre più ricchi da qui al 2019

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I rap­porti pre­sen­tati quest’anno da diversi isti­tuti di ricerca, hanno evi­den­ziato la cruda realtà della disu­gua­glianza sociale nel mondo: l’1% più ricco del pia­neta pos­siede il 48% della ric­chezza glo­bale. Una ten­denza che tende ad aggra­varsi: nel 2016, quell’1% pos­sie­derà più del 50% della ric­chezza e nel 2019 oltre il 54%. Le 80 per­sone più ric­che del pia­neta deten­gono una quan­tità di ric­chezza cor­ri­spon­dente a quella dei 3.600 milioni di più poveri.

Nono­stante i grandi passi avanti com­piuti in alcuni paesi che hanno governi pro­gres­si­sti o socia­li­sti, l’America latina è ancora la seconda regione più dise­guale del pia­neta, con il 52,9 di coef­fi­ciente di Gini: subito dopo l’Africa Sub­sa­ha­riana (56,5) e seguita dall’Asia (44,7), dall’Europa dell’est e dall’Asia cen­trale (34,7). L’ultimo rap­porto Fao regi­stra che il numero com­ples­sivo degli affa­mati nel mondo è sceso a 795 milioni: 216 milioni in meno rispetto al bien­nio 1990–92. Nei paesi in via di svi­luppo, la per­cen­tuale di per­sone che hanno cibo suf­fi­ciente è scesa al 12,9% rispetto al 23,3% di un quarto di secolo fa. La mag­gio­ranza dei paesi presi in esame dalla Fao (72 su 129) ha rag­giunto l’Obiettivo del Mil­len­nio (quello di dimez­zare il numero dei denu­triti entro il 2015. I paesi in via di svi­luppo hanno com­ples­si­va­mente man­cato l’obiettivo per poco.

Gra­zie alle decise poli­ti­che redi­stri­bu­tive, alcuni paesi, come il Vene­zuela, hanno rag­giunto l’obiettivo anzi­tempo e sono stati pre­miati per que­sto. dalla Fao. E così, la Fao ha deciso di inte­stare al defunto pre­si­dente vene­zue­lano Hugo Cha­vez il pros­simo pro­gramma per sra­di­care la fame nella regione da qui al 2025.

Gli affa­mati nel mondo sono 840 milioni, una per­sona su nove non ha di che ali­men­tarsi. La per­cen­tuale di per­sone che sof­frono la fame in Ame­rica latina e nei Caraibi, dal 1990 a oggi è scesa dal 14,7% al 5,%. Nei paesi come il Mes­sico o la Colom­bia, dove il vento del cam­bia­mento che inte­ressa gran parte del con­ti­nente, non è ancora pas­sato, le cifre della disu­gua­glianza restano allar­manti. Secondo l’ultimo rap­porto del Pro­gramma delle Nazioni unite per lo svi­luppo (Pnud), la Colom­bia è al 12mo posto per disu­gua­glianza eco­no­mica (su 168), men­tre il Vene­zuela è al 79mo. Sot­to­li­nea il rap­porto Sofi sullo stato dell’insicurezza ali­men­tare nel mondo: la cre­scita eco­no­mica «è sem­pre utile, se non altro per­ché allarga la base di get­tito fiscale neces­sa­rio per finan­ziare i tra­sfe­ri­menti sociali e gli altri pro­grammi di assi­stenza», ma per con­tri­buire a ridurre la fame, dev’essere inclu­siva: ovvero «for­nire oppor­tu­nità a chi ha minori risorse e com­pe­tenze per incre­men­tare i pro­pri redditi».

Invece, nella zona Ocse — l’Organizzazione per la coo­pe­ra­zione e lo svi­luppo eco­no­mico che riu­ni­sce 34 paesi — il 10% dei più ric­chi ha un red­dito 9,6 volte supe­riore a quello del 10% dei più poveri. La pro­por­zione era di 7,1 volte negli anni ’80 e di 9,1 volte negli anni 2000. Le disu­gua­glianze, sot­to­li­nea il rap­porto Ocse, sono ancora più evi­denti in ter­mini di patri­mo­nio e più mar­cate in Cile, Mes­sico, in Tur­chia, negli Stati uniti e in Israele. Meno in Dani­marca, Slo­ve­nia, Repub­blica slo­vacca e Nor­ve­gia. Le disu­gua­glianze sono ancora più impor­tanti nelle grandi eco­no­mie emer­genti, anche se alcune di que­ste — come il Bra­sile, che fa parte dei Brics– le hanno for­te­mente ridotte gra­zie ai pro­grammi sociali e alle poli­ti­che pub­bli­che dei governi pro­gres­si­sti di Lula e Rousseff.



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