Siria, sì dell’Onu al piano via alla transizione Obama: la lotta è lunga

Siria, sì dell’Onu al piano via alla transizione Obama: la lotta è lunga

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 NEW YORK. IL compromesso storico tra Barack Obama e Vladimir Putin sulla sorte di Assad sblocca l’accordo all’Onu sulla Siria. Via libera alla transizione politica, e una “roadmap” a tappe per chiudere quella guerra civile: condizione perché tutte le parti si concentrino nel combattere il nemico comune, lo Stato islamico. Obama nella conferenza stampa di fine anno avverte: «Sarà una lotta prolungata, il nemico resterà pericoloso a lungo. E anche se lo sconfiggiamo sul suo terreno, rimane difficile individuare quei lupi solitari della jihad che vogliono fare stragi da noi, la vigilanza deve rimanere ai massimi». Il presidente rivela perché non vuol saperne di mandare truppe terrestri: il Pentagono stima che ci sarebbero «centinaia di morti americani al mese, migliaia di vittime tra i siriani, dieci miliardi di dollari di spesa». A conferma della tensione estrema in quell’area, la Nato da oggi dà il via libera all’invio di aerei radar, caccia e navi nel Mediterraneo orientale per la difesa della Turchia. Ma al tempo stesso la Casa Bianca esorta il presidente turco Erdogan a «ritirare le sue truppe dall’Iraq settentrionale », come lo chiede il governo di Bagdad.
È nella tarda serata di venerdì che arriva finalmente la fumata Bianca al Palazzo di Vetro di New York. Prima della votazione finale per la risoluzione sulla Siria, passata all’unanimità, si sono messe d’accordo le cinque potenze che sono membri permanenti del Consiglio di sicurezza. Il testo della risoluzione contiene la “roadmap”, letteralmente la mappa stradale che deve condurre verso la pacificazione del paese, condizione indispensabile perché sia debellato lo Stato Islamico. Un cessate il fuoco tra le fazioni che si combattono nella guerra civile deve entrare in vigore «non appena i rappresentanti del governo siriano e dell’opposizione avranno avviato i primi passi di una transizione politica sotto gli auspici dell’Onu». I rappresentanti di queste parti sono convocati dall’Onu ad un negoziato formale che deve iniziare a gennaio. La risoluzione chiede che «cessino immediatamente tutti gli attacchi contro la popolazione civile e i bersagli civili ». Un passaggio chiave indica che «il popolo siriano deciderà il futuro della Siria». Questo allude alle elezioni libere, sotto vigilanza Onu, che devono consacrare l’uscita di scena di Assad attraverso l’espressione della volontà popolare. Su questo passaggio si è sbloccato l’accordo Obama-Putin, ora anche la Russia ci sta se sono i siriani a decidere che non vogliono più Assad. Obama non ha dubbi che sarà così: «Non ci sarà una pace in Siria — dice il presidente — senza un governo legittimo. Dovrà andarsene il dittatore che ha fatto strage del suo popolo ». Ma Obama spiega anche la logica delle concessioni che ha fatto lui, rinunciando a porre come condizione preliminare la partenza di Assad: «È un calcolo realista, Assad dovrà andarsene ma per adesso c’è una soluzione-ponte, che tiene conto degli interessi di Russia e Iran, e della popolazione alawita che non vuole finire schiacciata. Bisogna che al più presto tutte le parti concentrino le energie contro i jihadisti di Daesh ». In una conversazione a parte, prima della sua conferenza stampa di fine anno, il presidente aveva rivelato il bilancio terribile di un’invasione terrestre, alla quale lui rimane fermamente opposto. In quanto ai raid aerei, «anche la Russia riconosce che dopo tanti sforzi non è riuscita neppure a spostare le lancette ». La lotta contro lo Stato Islamico prosegue con determinazione, ma senza cambiamenti di strategia: l’America e gli alleati occidentali continueranno i raid aerei e i colpi mirati a eliminare i leader, mentre tocca alle forze arabe sunnite riprendere i territori occupati dallo Stato islamico.
Obama parla alla Casa Bianca poco prima di assistere a una proiezione speciale dell’ultimo “Guerre stellari” con un gruppo di bambini orfani di militari; per poi imbarcarsi sull’Air Force One alla volta di San Bernardino. La strage in quella città della California, dice il presidente, deve spingere gli americani «alla massima vigilanza, ma rifiutando di lasciarci terrorizzare ». Spiega che prevenire quel genere di attentati è molto difficile, «come lo è prevenire altri tipi di sparatorie di massa in questo paese». Affronta la questione dello spionaggio sui social media, visto che i due terroristi di San Bernardino avevano espresso la loro adesione alla jihad. «Ma lo fecero — precisa Obama — in messaggi privati, non su pagine di Facebook aperte al pubblico. Se il futuro terrorista non si esprime pubblicamente è ancora più difficile avvistarlo per tempo. E non dimentichiamo che ancora di recente ci fu un dibattito nazionale (dopo le rivelazioni di Edward Snowden sullo spionaggio digitale della National Security Agency, ndr) in cui molti esprimevano preoccupazione per un governo che assomigli al Grande Fratello». Obama conclude con un ammonimento: la lotta al terrorismo in casa nostra, e allo Stato Islamico in Medio Oriente, sarà un’impresa di lungo periodo. «Li incalzeremo, li stringeremo d’assedio sistematicamente. Li sconfiggeremo. Ma intanto continueranno ad essere pericolosi». Uno spiraglio di speranza sulla Libia, che Obama descrive potenzialmente come «una Siria alla rovescia », cioè un paese dove l’intervento della comunità internazionale può avvenire più rapidamente, per sanare il caos della guerra civile.


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