Welfare aziendale. La salute ieri e oggi: la mutua diventa benefit

Welfare aziendale. La salute ieri e oggi: la mutua diventa benefit

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Mezzo secolo è trascorso e i mitici metalmeccanici sono passati dalla salute non negoziabile (gruppi omogenei, mappe di rischio, delegato alla salute) alle mutue integrative. Si afferma così, attraverso il lavoro, il cosiddetto welfare aziendale.

Welfare aziendale, vale a dire una idea di contro-universalismo di classe che al diritto alla salute (del quale si constata di fatto l’inesigibilità, quindi l’utopia) preferisce, pragmaticamente, una forma di accesso privilegiato ai servizi sanitari garantito attraverso il salario demonetizzato.

Demonetizzare il salario significa che, un operaio, oltre ad una certa quantità monetaria con la quale pagare l’affitto, fare la spesa, andare in pizzeria, riceve anche benefit e perquisite, cioè servizi per perseguire «obiettivi di ottimizzazione fiscale e contributiva, di fidelizzazione, motivazione e attrazione delle risorse umane e di costruzione di una solida e duratura corporate identity».

Benvenuti nella nuova ideologia del “premio totale” (total reward): la salute non è più un interesse collettivo e, meno che, mai un diritto della persona, ma è un valore di scambio individualmente negoziabile. Questa volta siamo oltre l’indennità, oltre il litro di latte, oltre il problema delle pause. Il salario demonetizzato è nel terzo millennio, un modo per monetizzare la malattia.

Le mutue, nell’ideologia del total reward (si presuppone con un sistema pubblico minimizzato), retribuiscono così le aspettative di salute delle persone per cui esse non sono altro che un sistema di prestazioni ad accesso privilegiato, definite da un nomenclatore.

Presto potremmo assistere alla rinascita del neo-mutualismo aziendale che segnerà probabilmente il definitivo declino della sanità pubblica o meglio la sua marginalizzazione. La famosa “seconda gamba”.

Perché?

Perché in questo tempo sta prendendo piede l’applicazione della legge di stabilità del 2016 il cui decreto attuativo in materia di detassazione prevede tutte le precondizioni per generalizzare attraverso i contratti delle vere e proprie mutue sostitutive.

Il punto focale di questa detassazione è sostanzialmente uno: le aziende previo accordo potranno detrarre il costo delle mutue dal costo complessivo del lavoro. Cioè per loro il welfare aziendale è praticamente a costo zero.

Il governo oggi finanzia i datori di lavoro per svuotare l’art 32 della Costituzione, per ridurre a pubblica carità la sanità pubblica, per distruggere ogni parvenza di universalità e tutto questo in ragione di una discutibile idea neoliberista di sostenibilità economica. E senza che nessuno protesti.

La sua strategia sulla sanità è chiara: de-finanziarla per ridurre l’incidenza della spesa sanitaria in rapporto al Pil, uso del terzo settore per appaltare parti della sanità al volontariato e alla sussidiarietà, dare corso ad un nuovo mutualismo usando strumentalmente la forte domanda di servizi sanitari delle persone, disattesa a causa dello stato deplorevole in cui versa la sanità pubblica.

Tutto questo: mentre cresce il numero dei cittadini che comprano direttamente di tasca propria sul mercato prestazioni private altrimenti definite out of pocket; mentre cresce l’abbandono sociale cioè il numero di persone che non si possono permettere né la mutua, né l’assistenza privata e purtroppo (se pensiamo ai ticket) neanche quella pubblica; mentre la sanità pubblica tra eccellenze e miserabilità perde colpi falcidiata dai tagli lineari, sempre più diseguale, deludendo suo malgrado le aspettative sociali delle persone

Tuttavia non me la sento di accusare i metalmeccanici di tradimento perché non me la sento di condannare chi, oggi, ad una sanità pubblica decadente, preferisce altre alternative sfruttando i vantaggi della sua condizione di lavoro. La realtà è quella che è.

In questa regressione salute/mutue c’è qualcosa che rimanda alle difficoltà e alle incapacità della sinistra e del sindacato a leggere i cambiamenti e a governarli con un pensiero riformatore all’altezza delle sfide. Se oggi probabilmente saremo radicalmente controriformati dalle mutue di ritorno è perché in tutti questi anni anziché ripensare la sanità nei contesti che cambiavano reinventandola per adeguarla ad esempio ai problemi dell’economia e a quelli relativi alla nuova domanda sociale, ci siamo limitati a farne l’apologia, a rivendicare più soldi senza azzerare le diseconomie riducendo la prevenzione ad uno slogan.

La mia idea di “quarta riforma” contesta radicalmente l’idea sciagurata di sostenibilità di questo governo, è contraria ad un mutualismo di ritorno, ma contesta anche la grande invarianza nel sistema sanitario che in questi anni ha come ossificato l’offerta di servizi rendendola ancor più inadeguata nei confronti dei nuovi bisogni delle persone.

Oggi tornano le mutue anche perché il mutualismo, nonostante tre riforme sanitarie, non è mai morto. Sono anni che il servizio sanitario nazionale in realtà è una super mutua per cui oggi il dato politico vero è che la super mutua si sfarina in tante piccole mutue come era mezzo secolo fa.

Se Bauman dice che la crisi sociale genera nuove forme di solidarietà contro la precarietà (Stato di crisi 2015) bisogna rispondere che la mutua dei metalmeccanici dimostra che, la stessa crisi, se non è governata con un pensiero riformatore (cioè se il mutualismo quale paradigma resta sostanzialmente invariante), spinge la solidarietà a riorganizzarsi in forma egoistica e corporativa contrapponendo i deboli ai forti esattamente come tanto tempo fa.

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