Intervista a Marco De Ponte. Le ONG: un bene comune da difendere

Intervista a Marco De Ponte. Le ONG: un bene comune da difendere

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Sempre di più, anche in Europa, le persone e le organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani sono messe sotto accusa, spesso denigrate e boicottate. Una tendenza preoccupante e senza freni, che va al di là degli attacchi venuti negli ultimi mesi in Italia contro le Organizzazioni Non Governative impegnate nel Mediterraneo nei salvataggi di migranti. Marco De Ponte, segretario generale di ActionAid Italia, ricorda qui che, viceversa, le ONG sono un patrimonio sociale, ideale e concreto, per le loro attività umanitarie e per la loro imparzialità. Di conseguenza, «se oggi la società civile “che aiuta e protegge” viene demonizzata e criminalizzata, il risultato è il disfacimento totale della società». Un pericolo di fronte al quale occorre reagire con urgenza e determinazione.

 

Rapporto Diritti Globali: La difesa dei diritti umani non è più cosa scontata. Anzi. Se analizziamo le tendenze nel campo del cambiamento sociale, è possibile affermare che ci troviamo in un clima di preoccupante riduzione dello spazio e dell’ambito di azione per quegli attori della società civile organizzata che si trovano a difendere i diritti?

Marco De Ponte: Non è più necessario uscire dai confini dell’Europa per osservare come lo spazio e il raggio d’azione di chi difende i diritti umani sia sempre più limitato o messo in discussione: è questa la tendenza significativamente preoccupante. Lo si fa attraverso azioni di delegittimazione nei media e nei discorsi ufficiali o attraverso la strumentalizzazione di tematiche particolarmente calde per l’opinione pubblica. Quello che abbiamo visto in Italia negli ultimi mesi, in merito alle organizzazioni umanitarie impegnate nella ricerca e nel salvataggio di vite umane nel Mar Mediterraneo, non si discosta da questa tendenza più globale.

Un Paese pienamente democratico avrebbe il compito di valorizzare e sostenere gli attori della società civile che in molti casi si fanno anche carico di attività che dovrebbero essere svolte dagli Stati, sostituendoli laddove non sono in grado (o non vogliono) difendere, proteggere, assistere chi ne ha bisogno. E invece lo Stato italiano ha chiesto qualche mese fa – per esempio proponendo uno strumento come il Codice di Condotta – a queste stesse organizzazioni, soggetti neutrali e imparziali, di disattendere alle norme che esso stesso ha sottoscritto in sede internazionale attraverso le Convenzioni di Ginevra. Con l’unico effetto di comprometterne la credibilità, pregiudicare la loro possibilità di fornire aiuti in contesti difficili, e renderne difficile o impossibile l’azione dove è più necessaria per il bene di tutti.

Le ONG sono sostenute da milioni di persone in Italia e nel mondo e rappresentano una forma di partecipazione importante perché difendono i diritti dei cittadini, proteggono le persone vulnerabili, assistono le vittime di guerre e disastri, lottano contro la povertà e l’esclusione sociale. Sono un patrimonio della nostra società e come tale vanno sostenute e difese, anche quando quello che dicono può risultare scomodo. Se oggi la società civile “che aiuta e protegge” viene demonizzata e criminalizzata, il risultato è il disfacimento totale della società.

Al contrario è necessario chiedere a qualunque Stato di rispettare le regole internazionali che ha sottoscritto nell’interesse di tutti, se quello che vogliamo è una democrazia compiuta e non sbeffeggiata. È sempre più urgente un ritorno ai valori costituzionali, civili, etici e morali fondanti il nostro Paese e l’Unione Europea se non vogliamo il trionfo delle istanze populiste.

Si evidenziano sempre più segnali di atomizzazione sociale, in cui la difesa della libertà diventa difesa della libertà individuale e non collettiva; ci si preoccupa molto di più di chi siano gli alleati politici o i pubblici di riferimento piuttosto che perseguire battaglie che devono rimanere nel solco della difesa dei diritti e della richiesta di garanzie per tutti. A questo si accompagna una disgregazione della solidarietà sociale, un’idea dei confini nazionali come muri impermeabili all’umanità, mentre l’idea di mettere insieme i deboli e i forti, che era un tempo un principio che poteva funzionare da collante, ora non è più difeso per salvaguardare il bene della collettività.

 

RDG: Delineate queste tendenze e venendo all’Italia, come la società civile organizzata può tornare a avere un ruolo di cambiamento sociale?

MDP: Anche le ONG soffrono una pressione di evidente carattere politico. Pressione che sarà difficile da superare senza una riunificazione delle forze democratiche e senza una riflessione più ampia che parli agli altri attori sociali e politici, compresi i governi e le istituzioni, i media e i cittadini. Oggi il grado di riflessività dell’opinione pubblica viene purtroppo stimolato a colpi di slogan su molti temi, e gli attori della società civile non ne sono esenti. Guerre, povertà e disuguaglianze sociali generano crisi come quella dei migranti, che preoccupano non solo per la portata dell’emergenza, ma anche per il restringersi dello spazio per la società civile. Il fenomeno migratorio, e purtroppo non solo quello, sta mettendo a dura prova le nostre democrazie, che reagiscono chiudendosi sempre di più con l’avallo di un’opinione pubblica che sta prendendo distanza dalle forme democratiche, percepite come farraginose e poco efficaci. Alimentata dalla crisi politica ed economica, l’indignazione trova talvolta un facile capro espiatorio anche nelle organizzazioni della società civile, che cercano a fatica di colmare i vuoti lasciati dai governi europei.

Per questo è la stessa società civile organizzata che deve sforzarsi – proprio sui temi così dibattuti come le migrazioni, i diritti, l’esclusione sociale – di chiedere accountability e trasparenza alle istituzioni, di fare proposte con la certezza di essere presa sul serio. Gli attori della società civile non possono ridursi a fornire servizi a “basso costo” sostituendo il ruolo dello Stato. E non possono e non devono accontentarsi di risultare sostitutivi allo Stato nella fornitura di servizi di welfare su cui lo Stato stesso ormai arretra in maniera sistematica.

Come dicevo prima, le forze politiche spesso agiscono per soluzioni di breve periodo; ma una democrazia di qualità si regge soltanto quando i pilastri sono ben saldi e la cittadinanza attiva viene vissuta pienamente. Per ottenere il cambiamento è fondamentale l’empowerment delle persone e delle comunità che vivono in condizioni di povertà e disuguaglianza. Solo così si può far crescere la qualità della democrazia e rendere le persone protagoniste del cambiamento, a partire da quelle più escluse. Una democrazia sana non significa solo assenza di conflitti, ma una partecipazione attiva capace di rinnovare il tessuto sociale per renderlo pronto ad affrontare le sfide del momento.

ActionAid è stata impegnata in quest’ultimo anno nella stesura della sua nuova strategia “Agorà 2028” che in linea con quella della federazione internazionale, si muove sui tre pilastri: diritti, redistribuzione e resilienza sociale. Tre pilastri che sono interconnessi e si sostengono a vicenda: i diritti, infatti, non possono essere soddisfatti senza la redistribuzione del potere (e quindi delle risorse) e continueranno a essere minacciati senza il rafforzamento degli spazi di resilienza di comunità in cui le persone abbiano davvero la possibilità di esprimersi e concorrere a migliorare la società.

 

RDG: La partecipazione è quindi una chiave per una democrazia di qualità. Quali strade possono essere intraprese e quali strumenti come ActionAid o in rete offrire a chi si vuole impegnare in percorsi di impegno civico?

MDP: La democrazia di qualità non esiste senza una partecipazione attiva e consapevole dei cittadini. La democrazia dovrebbe avere come primo obiettivo quello di rispettare l’insieme delle persone e può dirsi tale solo quando tutti gli individui sono liberi di esprimersi e di decidere insieme, in una condizione di pari considerazione e pari possibilità. Il trasferimento di potere e i ri-bilanciamenti possibili nel contesto del capitalismo contemporaneo devono tener conto delle cause profonde della crescente disuguaglianza in seno a ciascuna comunità, a ciascun popolo.

Il sistema capitalistico non può essere abbattuto nella sua interezza. Assicurando risorse nelle mani di un numero sempre più esiguo di persone/centri di potere, il sistema continua a vivere per accumulazione; dunque, consapevoli che non si può abbattere nella sua interezza, è necessario criticarne o regolarne alcune applicazioni per evitare che vada in contrasto intrinsecamente con il sistema dei diritti umani.

Il Festival della Partecipazione dell’Aquila, già dalla sua edizione zero nel 2016, ha voluto sottolineare il valore e il ruolo dell’attivismo civico e l’importanza di una politica che nasce dal basso, soprattutto in una fase di distacco tra i cittadini e le istituzioni come quella che caratterizza l’Italia, ma anche l’Europa.

La parola democrazia, invece, è spesso associata esclusivamente al diritto di voto e alla possibilità di scelta elettorale. Il Festival della Partecipazione, iniziativa fortemente voluta da ActionAid Italia, insieme a CittadinanzAttiva e Slow Food Italia, riporta al contrario il senso più profondo e vero di questa parola: cioè il potere delle persone e delle comunità. Le democrazie liberali dell’“Occidente” sembrano sempre più lente a rispondere alla “necessità di partecipazione” dei singoli cittadini. Anzi, emerge talvolta il tentativo di ridurre i cittadini solo a spettatori o a “sorveglianti” dei leader, dei partiti, delle rappresentanze politiche. All’opposto, la democrazia è un esercizio impegnativo, che richiede confronto, inclusione, ascolto. È un esercizio che può e deve essere vissuto quotidianamente non solo eleggendo o delegando qualcuno.

Con il Festival, che nel 2017 ha visto la sua seconda edizione, le tre organizzazioni promotrici hanno voluto costruire un’occasione, un luogo in cui le diverse reti del Paese si possono comporre attorno a una condivisa agenda politica centrata attorno alla riduzione delle ingiustizie, al rispetto dei diritti umani e al contenimento della crescita delle disuguaglianze. Il Festival, che nasce dalla pazienza e dalle buone pratiche sui territori che le tre organizzazioni da anni portano avanti, vuole essere un punto di riferimento per un ragionamento sulla qualità della democrazia in Italia e nel mondo. Un luogo dove poter discutere della trasformazione delle dinamiche di potere tra cittadini e tra questi e istituzioni e potere economico.

 

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Marco De Ponte: dal 2001 è Segretario Generale di ActionAid Italia. Per otto anni direttore per l’Europa, è attualmente responsabile della Federazione internazionale per la crescita in nuovi Paesi. Classe 1970, dopo la laurea in Relazioni Internazionali nel 1995 a Padova, ha conseguito il Master in Understanding and securing human rights a Londra. Ha collaborato successivamente con diverse università italiane e con la European Human Rights Foundation a Bruxelles. Autore di varie pubblicazioni sugli strumenti giuridici e paragiuridici utilizzati nelle fasi di riconciliazione nazionale al termine di fasi di conflitto armati, nel 1999 ha lavorato nei Balcani e in Albania per conto di Intersos. Impegnato sin da giovanissimo con Amnesty International, ne è stato per sei anni il vicepresidente in Italia, partecipando per otto anni all’International Council, e ha lavorato per due anni come campaigner sull’Etiopia al Segretariato Internazionale dell’organizzazione a Londra. Fondatore e primo presidente dell’Agenzia Italiana per la Risposta alle Emergenze (AGIRE), è attualmente anche componente della direzione nazionale di CittadinanzAttiva e parte del Comitato Scientifico della Fondazione Campagna Amica. Nel 2011 è stato tra vincitore del Premio Eccellenza di ManagerItalia.

 

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Riportare i diritti nel lavoro. Leggi qui la prefazione di Susanna Camusso al 15° Rapporto

Il vecchio che avanza. Leggi e scarica qui l’introduzione di Sergio Segio al 15° Rapporto

La presentazione alla CGIL di Roma

Qui la registrazione integrale della presentazione alla CGIL di Roma del 27 novembre 2017

Qui le interviste a Sergio Segio, Patrizio Gonnella, Marco De Ponte, Francesco Martone

Qui notizie e lanci dell’ANSA sulla presentazione del 15° Rapporto

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Qui si può ascoltare il servizio di Radio Articolo1 curato da Simona Ciaramitaro

Qui un articolo sul Rapporto, a pag. 4 di ARCI-Report n. 37

Qui un articolo sul Rapporto, da pag. 13 di Sinistra Sindacale n. 21

Qui la registrazione di Radio Radicale della presentazione del 15° Rapporto a Torino, il 31 gennaio 2018

Qui un’intervista video a Sergio Segio e Susanna Ronconi sui temi del nuovo Rapporto

Qui l’articolo di Sergio Segio “L’apocalisse e il cambiamento possibile”, da Appunti n. 23, 1/2018



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