Turchia. Nuove elezioni il 23 giugno, tutti contro Erdogan: a Istanbul opposizioni unite
Non erano passate che un paio d’ore dall’annuncio del Comitato supremo delle elezioni (Ysk) di annullamento delle elezioni amministrative di Istanbul quando la notte della metropoli sul Bosforo è stata scossa dal rumore ritmato delle pentole della protesta.
Reazione immediata a una mossa senza precedenti, in strada e sui social: in migliaia hanno manifestato contro la decisione di annullare il voto del 31 marzo scorso, vinto dall’opposizione del Chp, mentre lo slogan «Andrà tutto bene» diventava virale su Twitter. #herseyçokgüzelolacak, ripreso da una commedia di Cem Yilmaz dal neo-sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu a poche ore dall’annuncio del Ysk, ha invaso i social. Insieme a un curvaiolo «You will never walk alone», rivolto al semi-sconosciuto candidato kemalista che un mese fa aveva messo fine all’egemonia Akp in città.
Ma al suo predecessore Recep Tayyip Erdogan, oggi presidente con super-poteri, la sconfitta non è andata giù, per il valore simbolico della capitale culturale che ha controllato per quasi due decenni e per il consistente capitale sul tavolo (un budget annuo da 7,5 miliardi di dollari, traducibili in posti di lavoro e appalti): perso anche il riconteggio dei voti, l’Akp partito di governo ha usato il Comitato supremo per darsi una seconda chance e recuperare quei 14mila voti che il 31 marzo hanno fatto sedere sulla poltrona di sindaco Imamoglu.
Una mossa subito bollata come illegittima da opposizioni, mondo imprenditoriale e Unione europea e che potrebbe rivelarsi un boomerang per il rais.
Con il nuovo voto fissato per il 23 giugno e la municipalità tornata in mano all’Akp (ieri l’account Twitter del Comune «ufficializzava» il ri-passaggio di consegne cancellando i post di Imamoglu, che aveva assunto la carica il 17 aprile), le opposizioni si compattano. Un mese fa l’Hdp, la sinistra filo-curda, si era astenuto dal presentarsi a Istanbul facendo convogliare i consensi sui kemalisti: l’abuso di potere di Erdogan conferma la scelta, dice il co-presidente Temelli.
Fanno lo stesso il Partito comunista turco, il Labourer Movement Party, il Partito della Sinistra democratica e l’indipendente Aysel Tekerek: non si ripresenteranno, hanno fatto sapere ieri, appoggeranno Imamoglu. Che lunedì sera, dopo l’annuncio del Ysk ha parlato ai suoi sostenitori in un discorso che in tanti celebrano come il migliore della sua breve vita pubblica: «Nessuno può bloccare la democrazia di questa nazione. Non ci arrenderemo mai: so che quando cammino non camminerò mai da solo».
Alla leadership del Chp ha lasciato il compito di colpire a testa bassa: «I giudici non possono essere comprati, devono vergognarsi della loro decisione: siete colpevoli di fronte alla storia», ha detto ieri il presidente del Chp Kilicdaroglu, mentre il partito accusava Erdogan di aver «sacrificato nel nome delle sue personali ambizioni e paure lo Stato di diritto, la giustizia e la stabilità economica».
A storcere la bocca è anche la «confindustria» turca (Tusiad), più che preoccupata dall’instabilità generata da una nuova elezione: con l’economia che vive la peggiore crisi da anni, la lira in picchiata (ieri ha toccato il punto più basso da un mese), l’inflazione al 20% e la disoccupazione al 15%, è difficile attirare investimenti esteri cancellando un voto democratico.
Erdogan, da par suo, veste i soliti panni di incendiario e tenta di trasferire la colpa su altri: riconfermata la candidatura a sindaco dell’ex premier Yildirim, ha accusato la Tusiad di creare caos, ha definito il nuovo voto «un passo importante per la democrazia» contro «il sistema organizzato di corruzione, illegalità e irregolarità» (dimenticando che al governo c’è il suo partito e non il Chp) e se l’è presa con la comunità internazionale colpevole di «critiche politicamente motivate». Ma stavolta potrebbe andargli male.
* Fonte: Chiara Cruciati , IL MANIFESTO
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