Anche in Italia ora le armi le vende direttamente il ministero

Anche in Italia ora le armi le vende direttamente il ministero

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Da diversi anni, tra le tante richieste e pretese che l’industria bellica nazionale rivolge ai governi spicca quella di trasformare ufficialmente gli stessi governi in autorevoli agenti di commercio per la propria mercanzia.

Stiamo parlando del così detto approccio “government to government” (G2G) ossia la trasformazione del ministero della Difesa nell’autorità preposta a stipulare direttamente contratti per la fornitura di tecnologia militare con paesi terzi. Lo chiedevano da anni sia gli industriali che i sindacati.

Già il 20 gennaio dello scorso anno, in una intervista rilasciata al Sole24ore l’amministratore delegato di Leonardo, Alessandro Profumo, riferendosi al Medio oriente, rilasciava una dichiarazione cinica e pragmatica: “… È triste dirlo, ma la tensione internazionale provoca inevitabilmente, sul mercato degli armamenti e della sicurezza, un aumento della domanda. In questi contesti, la natura italiana del nostro gruppo è vissuta come qualcosa di positivo (…) la presidenza del Consiglio, il ministero della Difesa e quello degli Esteri sono un ottimo supporto. In tutto questo, però, c’è una lacuna legislativa: manca la norma sul “Government to Government”, che non è stata approvata dalla legislatura appena scaduta e che noi auspichiamo arrivi presto a traguardo perché ormai molti vogliono negoziare non con Leonardo, ma con il Governo italiano…”.

La sincera tristezza di Profumo è stata immediatamente colta dalla ex ministra della Difesa Elisabetta Trenta che per alleviarla ha alacremente lavorato per la norma “G2G” insieme ai colleghi degli Esteri, dell’Economia, dell’Interno ma il botto estivo lanciato da Salvini con conseguente crisi di governo ha rallentato l’iter.
Ovviamente solo di rallentamento si è trattato in quanto quando si parla di Nato, spesa militare, guerre e industria bellica la trasversalità regna sovrana.

Alessandro Profumo e più in generale tutto il comparto sono stati quindi accontentati dal governo Conte bis che ha finalmente attivato il “government to government” con l’art.55 “Misure a favore della competitività delle imprese italiane” inserito nel recente decreto fiscale dello scorso 26 ottobre.

Questa norma è uno “strumento importante che va sviluppato e colto in tutte le sue potenzialità” ha commentato il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, il 6 novembre scorso nel corso di una conferenza organizzata dall’Aiad (Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza) a Roma presso l’Istituto Affari Internazionali.

Ma le grandi attenzioni governative per l’industria militare non bastano mai e infatti, nella stessa conferenza, il presidente dell’Aiad Guido Crosetto ha dichiarato che andrebbe affrontata la questione delle banche etiche che “ …creano enormi ostacoli in termini di sostegno bancario al settore…” e inoltre che andrebbe “… esclusa una parte delle spese per la Difesa dal calcolo del deficit di bilancio…” poiché la stessa Difesa non sarebbe un settore da “ …collegare ad un momento economico specifico ma, piuttosto, ad una funzione esistenziale dello Stato…”.

Uno slancio ducesco quello di Crosetto (industriale della “Difesa” e già parlamentare di Fratelli d’Italia) che non gradisce un ramo della finanza intento a svolgere il suo business come gli pare, magari eticamente, ostacolando così il bene supremo anzi “esistenziale” del Paese: il fatturato tricolore dell’industria militare.
Il modello di riferimento è senza dubbio quello francese dove Macron, con la recente legge di bilancio militare (2019-2025), ha messo in gioco 295 miliardi di euro, ben 105 in più rispetto al quinquennio precedente.

Soldi con cui verranno acquisiti sommergibili nucleari, fregate, droni, satelliti, aerei ed elicotteri) ma anche un corposo aumento del personale: 6.000 unità per le forze armate più 750 funzionari da impiegare nella “divisione vendite” nella Direction Générale de l’Armement.

Il “Government to Government” è infatti una prerogativa francese da tempo, così come lo è per gli Stati uniti e la Gran Bretagna. Tutti Paesi Nato con cui l’Italia condivide la top ten globale del fatturato militare ora anche col fondamentale supporto degli agenti di commercio governativi.

* Fonte: Gregorio Piccin, il manifesto



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