Guerra libica, duemila mercenari di Erdogan sul terreno

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Si chiamano Mahmud Elcarallah, Isam El Carallah e Abdulrezaq El Mahmud, i tre mercenari siriani – membri della milizia “Esercito nazionale siriano” (Ens) costituita dal presidente turco Erdogan – rimasti uccisi nei combattimenti tra le truppe fedeli al premier libico Fayez El Sarraj appoggiato da Ankara e quelle che fanno capo al generale della Cirenaica, Khalifa Haftar, sostenuto da Egitto, Emirati, Russia, Arabia saudita (e dalla Francia). Secondo l’agenzia curda Anf che riferiva ieri la notizia, i tre morti negli scontri a fuoco, all’inizio della guerra in Siria nel 2011 si erano uniti al gruppo islamista Faruq al Islami contro il presidente Bashar Assad, poi avevano fatto parte dell’Isis, quindi del qaedista Ha’yat Tahrir al-Sham e infine del gruppo Fırqat al Hamza, prima di essere inquadrati nell’Ens. Un “curriculum” che possono vantare un po’ tutti i mercenari siriani che sono già in Libia o stanno per andarci con il compito di sostenere El Sarraj. Ne riferisce anche il Guardian che ieri ha aggiornato le notizie circolate sull’impiego di mercenari siriani in Libia, già usati da Erdogan contro i combattenti curdi nel nord della Siria dove hanno compiuto atrocità tra i civili.

Il Guardian scrive che primo gruppo di 300 uomini ha lasciato la Siria il 24 dicembre, seguito da altri 350 il 29 dicembre. Giunti a Tripoli sono stati assegnati a posizioni in prima linea nella parte orientale della capitale libica. Altri 1.350 uomini, aggiunge il quotidiano, sono entrati in Turchia il 5 gennaio. Alcuni sono stati schierati subito in Libia, altri proseguono l’addestramento. I mercenari siriani dovrebbero andare a comporre la divisione “Omar al-Mukhtar”, dal nome dell’eroe dell’insurrezione libica contro l’occupazione coloniale italiana (giustiziato nel 1931). I soldi sono una delle motivazioni principali che spingono questi siriani ad andare in Libia. Hanno firmato contratti di sei mesi con il governo di El Sarraj e percepiscono 2.000 dollari al mese, una somma enorme rispetto a quanto guadagnano per combattere in Siria. A tutti inoltre è stata promessa la nazionalità turca. Ankara si occupa di curare i feriti ed è responsabile del rimpatrio dei morti. Tripoli non ha mai confermato la presenza di mercenari siriani ed Erdogan sostiene di aver inviato in Libia soltanto alcune decine di consulenti militari turchi.

Il ruolo e le intenzioni di Erdogan in Libia sono tra i motivi che avrebbero spinto Haftar a non firmare a Mosca l’accordo per il cessate il fuoco. Lo ha dichiarato ad Agenzia Nova Aguila Saleh, presidente del parlamento che si riunisce a Tobruk e a Bengasi. «Siamo andati in Russia in buona fede ma ci è stato proposto un documento inaccettabile – ha spiegato Saleh – Siamo rimasti sorpresi dalla partecipazione dei ministri degli esteri e della difesa della Turchia (Mevlut Cavusoglu e Hulusi Akar), che sono nostri nemici. Abbiamo rifiutato qualsiasi cosa che la Turchia ha cercato di imporci. Siamo andati a Mosca per l’iniziativa russa, non per quella turca». Khaled Al Mahjoub, portavoce delle forze armate di Haftar, ha usato toni minacciosi per commentare le ultime dichiarazioni del presidente turco. «Erdogan afferma lo Stato libico fa parte delle glorie dell’Impero ottomano, queste non sono altro che dichiarazioni fatte per giustificare l’intervento turco in Libia e pregiudicare la sua sovranità», ha detto Al Mahjoub avvertendo che Haftar risponderà sul campo di battaglia. Haftar, che sarà alla conferenza di Berlino del 19 gennaio sulla Libia, insiste affinché la Turchia non sia riconosciuta come mediatore internazionale.

* Fonte: Michele Giorgio, il manifesto



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