Clima. La guerra rilancia il fossile, una ragione in più per fermare il conflitto ucraìno

Clima. La guerra rilancia il fossile, una ragione in più per fermare il conflitto ucraìno

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EFFETTI COLLATERALI. La guerra in Ucraina deve finire anche per scongiurare l’ineluttabilità della catastrofe ambientale e quella sociale che ne deriva. Nei negoziati un ruolo alla decarbonizzazione

 

La guerra in Ucraina sta facendo precipitare il mondo, tutto, in un futuro da brividi. Un futuro in cui il grosso degli investimenti, pubblici e privati converge sulle industrie del fossile e degli armamenti. Finanziamenti, cioè, volti alla distruzione, immediata e differita.

GIÀ, PERCHÉ CI SONO SEGNALI sempre più forti della volontà di spostare gli sforzi dalla decarbonizzazione dell’economia alla sostituzione del gas e del petrolio russo con quello proveniente da altri paesi. Si è scelta questa strada giustificandola con la necessità di far presto, di uscire al più presto dalla dipendenza dalla Russia. Che è un obiettivo sacrosanto. Meno sacrosante sono le conseguenze di questo approccio.

TUTTI I PAESI COINVOLTI, quelli che devono liberarsi del gas e del petrolio proveniente dalla Russia e quelli che devono fornirlo in sostituzione dovranno fare degli investimenti: i produttori per aumentare la loro capacità produttiva e di trasporto e gli utilizzatori per riorganizzare le infrastrutture di approvvigionamento. E gli investimenti devono avere un ritorno economico, il che implica che gli impianti devono funzionare per un certo tempo, che può essere di decenni, e quindi per decenni dovranno continuare a produrre e distribuire fonti fossili, ostacolando, o rendendo impossibile il raggiungimento dell’obiettivo emissioni zero nel 2050. Speriamo che il nostro governo abbia ben chiaro tutto ciò, e agisca di conseguenza, non lasciandosi trascinare dall’euforia di Eni e Snam, pronta, quest’ultima, a comprare due rigassificatori e a costruire un nuovo gasdotto sottomarino per collegare Spagna e Italia, come dichiarato dal suo Ad.

LA PREOCCUPAZIONE che la corsa alla eliminazione della dipendenza dal gas e dal petrolio russo possa portare al rallentamento del processo di decarbonizzazione è confermata da un passaggio del nuovo pacchetto RePowerUE che, oltre a prevedere una forte spinta all’efficienza energetica e alle fonti rinnovabili (e questa è una buona notizia), apre alla possibilità di finanziare con fondi Next Generation Eu (leggi Pnrr, per l’Italia) rigassificatori e infrastrutture per il gas e il petrolio.

UN ALTRO RISCHIO È CHE, per garantire il ritorno economico dei nuovi investimenti e lasciare il gas nel sistema energetico, si ricorra alla cattura e stoccaggio sotterraneo della CO2 prodotta, cosa che va assolutamente evitata. Ma gli effetti della guerra sul futuro del pianeta non si fermano qui. Bisogna pure considerare che qualsiasi prodotto contiene le cosiddette emissioni incorporate, cioè le emissioni di gas serra causate dalla sua produzione. Quindi ogni proiettile, granata, bomba, missile, mina si porta appresso le sue emissioni incorporate.

Più se ne usano più se ne causano, più dura la guerra e più gas serra si emettono. Lo stesso vale per ciò che viene distrutto: carri armati, aerei, veicoli da una parte, e case, ponti, strade, ferrovie, dall’altra. Tutti hanno le loro emissioni incorporate. Quindi, per farli, si emettono gas serra, e altri gas serra si emettono per rifarli, dopo la distruzione. E poi ci sono le emissioni dovute al carburante usato per fare funzionare gli armamenti, e quelle che derivano dall’alloggiare, spostare gli eserciti, e dar loro da mangiare.

ECCO CHE L’INDUSTRIA degli armamenti si rivela doppiamente inaccettabile: per il fine diretto che ha, uccidere, e per il contributo a rendere il nostro pianeta invivibile a causa della produzione di gas serra e della estrazione di risorse naturali. Uccide gli uomini e il pianeta di cui questi uomini fanno parte. Naturalmente è in buona compagnia, in questo lavoro. C’è l’industria del fossile, che sta pure enormemente ingrassando grazie alla guerra, allontanando lo spettro che più l’atterrisce: la decarbonizzazione, che segnerebbe la sua morte.

L’INDUSTRIA DEL FOSSILE, lo si dimentica troppo spesso, uccide pure oggi, anche se indirettamente, attraverso l’inquinamento dell’aria e la mortalità indotta. Secondo l’Oms, nel 2016 ci sono stati più di quattro milioni di morti causati dall’inquinamento dell’aria, in gran parte causato dalla combustione di combustibili fossili. E sono morti che si ripetono ogni anno. Molti di più di quanto non ne causi una guerra. E uccide non solo chi vive oggi, ma prepara il terreno per la morte di quelli che sono bambini oggi e di quelli che non sono ancora nati, essendo causa di quel riscaldamento globale che renderà il pianeta invivibile, specie per i più poveri.

Dunque, la guerra in Ucraina sta causando un forte rallentamento globale della lotta al cambiamento climatico, per varie ragioni, e si rivela non solo responsabile delle morti, delle distruzioni e delle migrazioni di oggi, ma anche corresponsabile delle morti, delle distruzioni e delle migrazioni che avverranno nei prossimi decenni in tutto il mondo, causate dalle catastrofi metereologiche e dalla riduzione della produzione alimentare. È forse la prima guerra che una generazione fa all’altra.

ANCHE PER QUESTO la guerra in Ucraina deve finire, per scongiurare l’ineluttabilità della catastrofe ambientale e quella sociale che ne deriva. E questo andrebbe messo in campo come elemento di negoziazione, un elemento in più per fare di tutto per arrivare alla pace.

* Fonte/autore: Federico Maria Butera, il manifesto



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