Papa Bergoglio: «Non c’è abbastanza volontà per la pace»

Papa Bergoglio: «Non c’è abbastanza volontà per la pace»

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«Non si può pensare che uno Stato libero possa fare la guerra a un altro Stato libero». Tuttavia «l’abbaiare della Nato alla porta della Russia» può aver contribuito a far precipitare la situazione verso il conflitto.
In un’intervista pubblicata ieri sul Corriere della sera, papa Francesco esprime ancora una volta, con estrema chiarezza, la propria posizione sulla guerra in Ucraina: inaccettabile e ingiustificabile l’aggressione di Mosca a Kiev, ma l’allargamento della Nato verso est ha incrementato la tensione e stimolato la reazione. «Un’ira che non so dire se sia stata provocata, ma facilitata forse sì», ipotizza Bergoglio.

Non si tratta di equidistanza, anche se molti – ma non i media russi – si affrettano ad arruolare il pontefice fra i putiniani, solo perché non è schiacciato sulla linea atlantista. Ma del tentativo di articolare una lettura un po’ più complessa della situazione, ferma restando l’indicazione di chi ha la responsabilità di aver avviato il conflitto. Appena iniziata la guerra, spiega Bergoglio, «ho voluto fare un gesto chiaro che tutto il mondo vedesse, per questo sono andato dall’ambasciatore russo. Ho chiesto che mi spiegassero, gli ho detto “per favore fermatevi”».

Dal papa emerge «pessimismo», perché – Bergoglio ne è certo – «per la pace non c’è abbastanza volontà». Anche se Orbán, «quando l’ho incontrato (il 21 aprile in Vaticano, n.d.r.), mi ha detto che i russi hanno un piano, che il 9 maggio finirà tutto. Spero che sia così, così si capirebbe anche la celerità dell’escalation di questi giorni». Ma, aggiunge, «io sono pessimista».

È proprio questa situazione di stallo, nella quale a parlare sono solo le bombe, che fa dire al pontefice che «dobbiamo fare ogni gesto possibile perché la guerra si fermi». Anche andare a Mosca per incontrare Putin. Una strada che Bergoglio – lo rivela egli stesso al Corriere – ha tentato. «Dopo venti giorni di guerra ho chiesto al cardinale Parolin (il segretario di Stato vaticano, n.d.r.) di fare arrivare a Putin il messaggio che io ero disposto ad andare a Mosca. Certo, era necessario che il leader del Cremlino concedesse qualche finestrina. Non abbiamo ancora avuto risposta e stiamo ancora insistendo, anche se temo che Putin non possa e voglia fare questo incontro in questo momento».

Si inverte quindi la scaletta di un improbabile viaggio a est. «A Kiev per ora non vado», afferma il papa, che nella capitale ucraina era stato invitato da Zelensky. «Prima devo andare a Mosca, prima devo incontrare Putin. Faccio quello che posso. Se Putin aprisse la porta…».

È un’eventualità che difficilmente si realizzerà: un viaggio a Mosca non era imminente in tempi di pace, quasi impossibile che ci sia ora, a guerra in corso. Da Mosca Alexander Dugin, uno degli ideologi di fiducia di Putin – che anni fa fu ospitato a Roma dai fascisti di CasaPound per parlare dello scontro apocalittico fra globalismo e populismo – boccia l’ipotesi. Papa Francesco direbbe a Putin di «fermare tutto immediatamente. Ma Putin lo sa in anticipo e non ascolterà», spiega Dugin all’AdnKronos.

Assai ascoltato dal presidente russo è anche Kirill, patriarca ortodosso di Mosca e di tutte le Russie, che si sarebbe dovuto incontrare con il papa a Gerusalemme il prossimo 14 giugno: colloqui saltati, per evitare di dare «un segnale ambiguo», spiega Francesco. «Ho parlato con Kirill quaranta minuti via zoom, nei primi venti mi ha letto tutte le giustificazioni alla guerra», racconta Bergoglio al Corriere. «Gli ho detto che noi non siamo chierici di Stato, non possiamo utilizzare il linguaggio della politica, ma quello di Gesù. Siamo pastori dello stesso santo popolo di Dio. Per questo dobbiamo cercare vie di pace, far cessare il fuoco delle armi. Il patriarca non può trasformarsi nel chierichetto di Putin».

Infine le armi, «che si stanno provando» in questa guerra. «Il commercio degli armamenti è una scandalo, pochi lo contrastano». Fra questi, li ricorda Francesco, i portuali di Genova che qualche anno fa si rifiutarono di caricare le armi destinate alla guerra in Yemen: «Ce ne dovrebbero essere tanti così».

* Fonte/autore: Luca Kocci, il manifesto



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