CERTO, DIFFICILE che la mossa cinese porti improvvisamente alla pace. Pechino ha finora evitato di entrare tra le pieghe delle rivendicazioni di Mosca e Kiev, limitandosi a riproporre la visione generale espressa nei recenti documenti di politica estera: tutela di sovranità e integrità territoriale, rispetto delle preoccupazioni di sicurezza di tutti i paesi. Passo implicito: “Inclusi quelli che non piacciono all’occidente”. Ma dice anche no al nucleare e sì alla soluzione politica. Ed è proprio sul peso della Cina che in molti, anche in Europa, ripongono speranze per una fine del conflitto.
Ammesso e non concesso che Xi voglia davvero utilizzare questo peso per favorire un negoziato, la Cina è convinta che non si voglia nemmeno correre il rischio di scoprirlo. Così verrà probabilmente interpretata, più o meno implicitamente, la novità giunta con “perfetto tempismo” dall’Aia. Allo stesso modo viene vissuta la notizia data da Politico, secondo cui tra giugno e dicembre 2022 delle aziende cinesi avrebbero inviato ad aziende russe circa un migliaio di fucili d’assalto e attrezzature di possibile utilizzo militare, come parti di droni e giubbotti anti proiettile. Il ministero degli esteri cinese ha ribadito di non aver mai inviato armi alle due parti del conflitto e di aver «sempre controllato l’export di beni dual use».

LA SENSAZIONE è che dietro, o meglio al di sopra, di quanto accade in Ucraina si giochi una sfida politica e retorica tra Pechino e Washington. Dove entrambe cercano di presentarsi come “potenza responsabile” e “garante di stabilità”. La Cina ha segnato un punto ospitando la firma dell’accordo che ha rilanciato i rapporti tra Arabia saudita e Iran, confermando il suo rafforzato ascendente politico in Medio oriente. Gli Usa non vogliono lasciare che Pechino possa incunearsi in Europa, convincendo qualcuno ad assumere una postura meno atlantista in politica estera. Ricordandosi che nelle prossime settimane è in programma una visita di Emmanuel Macron in Cina. Non a caso, ieri il portavoce della sicurezza nazionale della Casa Bianca John Kirby, ha avvisato che il cessate il fuoco proposto da Pechino non sarebbe «una pace duratura», ma piuttosto «la ratifica delle conquiste russe». Lontano dalla richiesta del premier britannico Rishi Sunak di «convincere Putin a ritirare le sue truppe».

ANNUNCIANDO la visita di Xi, il ministero degli esteri cinese ha tenuto invece a sottolineare che il rapporto con Mosca si fonda «sulla base di una non alleanza, non ostilità e del non mettere nel mirino alcuna terza parte». In linea con la retorica del multipolarismo con caratteristiche cinesi, dove gli Stati Uniti sono descritti come un agente di instabilità per la loro «mentalità da guerra fredda». Tanto che la portavoce del ministero degli esteri, Hua Chunying, sostiene che «Cina e Russia stanno promuovendo più democrazia nelle relazioni internazionali». Probabile che gli ultimi sviluppi rafforzino la retorica anti sanzioni e contro la “mentalità da guerra fredda” degli Usa.

DI CERTO, XI utilizzerà la sua crescente influenza su Mosca per chiudere accordi vantaggiosi. Per esempio sul fronte delle importazioni di petrolio e gas. Con la speranza che la sua manovra diplomatica, se non in Europa, gli apra altre porte nel Sud globale di cui si vede sempre più guida. Sempre ieri è stata annunciata la visita a Pechino del presidente brasiliano Inácio Lula da Silva, che ha di recente dichiarato di voler costruire, anche insieme a Xi, un «club della pace». Una parola che sembra però restare difficile da pronunciare.

* Fonte/autore: Lorenzo Lamperti, il manifesto