Lavoro povero. In Italia record negativo: i salari sono crollati di più

Lavoro povero. In Italia record negativo: i salari sono crollati di più

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Dopo 20 anni di stagnazione salariale, ora l’Italia ha avuto il calo dei salari reali più forte e l’aumento dell’inflazione più consistente dall’inizio della guerra russa in Ucraina

 

L’Italia ha avuto il calo dei salari reali più forte e l’aumento dell’inflazione più consistente dall’inizio della guerra russa in Ucraina. Questa situazione si è aggiunta a 20 anni di stagnazione salariale e di calo della produttività, un andamento quasi unico rispetto a paesi europei paragonabili come la Francia o la Germania, frutto della scelta di creare un modello industriale basato sui servizi poveri come il turismo, i bassi salari, altissima precarizzazione, invio dei rinnovi contrattuali che implicano un furto dei salari per il lavoro dipendente e l’aumento della concorrenza tra settori come la chimica o la manifattura e i servizi a scarso valore aggiunto come la ristorazione o l’ospitalità.

Una parte di questa analisi, già nota a partire dalla fine degli anni Novanta e oggi lampante, è contenuta nell’«Outlook Ocse 2023» reso noto ieri da uno dei bastioni del vangelo neoliberale. Secondo l’Ocse, alla fine del 2022, i salari reali erano calati del 7% rispetto al periodo precedente la pandemia. La discesa è continuata nel primo trimestre del 2023 con una diminuzione annua del 7,5%. Sulla base di queste stime, i salari nominali aumenteranno in Italia del 3,7% quest’anno, e del 3,5% il prossimo, mentre l’inflazione dovrebbe attestarsi al 6,4% nel 2023 e al 3% nel 2024. Questo significa che tutto quello che nel frattempo è stato perduto dai salari (dal 2020 al 2024) non solo non sarà recuperato, ma sarà perso per sempre.

Per tamponare una situazione evidentemente già compromessa, e non solo dal governo Meloni che rifiuta il «salario minimo» e non ha messo un euro sui rinnovi contrattuali, l’Ocse suggerisce di adottare le seguenti misure: 1) erogare sostegni in «maniera più mirata sulle famiglie a basso reddito (soluzione su cui insiste tutta la governance economica europea e che si traduce in bonus sostitutivi di una riforma universalistica del Welfare); 2) indicizzare i contratti collettivi alle previsioni Istat dell’inflazione al netto dei beni energetici importati, cioè l’Indice dei prezzi al consumo armonizzato (Ipca). Fino ad oggi i metalmeccanici sono gli unici lavoratori italiani che hanno goduto di rialzi ex post dell’Ipca (123,40 euro lordi non defiscalizzati). Per molti altri casi l’Ocse parla del ritardo nel rinnovo dei contratti che dovrebbe avvenire ogni tre anni (in Francia si rinnovano ogni anno, in Germania ogni due anni). Oltre il 50% dei lavoratori ha un contratto scaduto da oltre due anni. Un ritardo che peggiora la perdita di potere di acquisto deciso, per altro, dalla Banca Centrale Europea con la nuova politica di aumento dei tassi di interesse per domare la fiammata inflazionistica. I salari fissati dai contratti collettivi sono diminuiti in termini reali di oltre il 6% nel 2022.

Quanto al salario minimo legale – l’Italia è uno dei pochi paesi a non averlo – potrebbe essere per l’Ocse uno degli strumenti da usare per riequilibrare il rapporto tra capitale e lavoro che resterebbe comunque a favore del primo. Questo aspetto non viene mai considerato dai novelli «riformisti». E mancano le lotte per ricordarlo a chi lo esclude del tutto.

Nicoletta Pannunzi dell’Istat, in un’audizione in commissione lavoro alla Camera sulle proposte di legge sul salario minimo, ieri ha stimato che l’aumento della retribuzione oraria minima a 9 euro proposta dalle opposizioni, tranne Renzi, comporterebbe 804 euro in più per 3,6 milioni di lavoratori non coperti dai contratti nazionali. Valutazione che ha ravvivato la polemica contro il governo che non intende adottare il salario minimo perché nuocerebbe alla contrattazione. Nel dibattito che polarizza il teatrino politico andrebbe compreso perché nessuno lo abbia fatto prima che Meloni & Co. arrivassero al potere. Al netto dei proclami, si scoprirebbe che sono stati in molti a condividere la politica economica che trova molti oppositori. Gli stessi che erano al governo ieri.

* Fonte/autore: Roberto Ciccarelli, il manifesto

 



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