Turchia. A migliaia sfidano la polizia per difendere la foresta di Akbelen

Turchia. A migliaia sfidano la polizia per difendere la foresta di Akbelen

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La lotta ambientalista non ferma la distruzione del bosco di Akbelen: al suo posto la miniera di carbone dell’azienda Limak. L’ultimo di tanti progetti fallimentari usati con fini politici

 

In questi giorni in Turchia migliaia di persone hanno lottato contro la distruzione di una foresta. Si tratta di un progetto che prevede l’ampliamento di una miniera di carbone già operativa nel distretto di Milas, nei confini della città di Mugla. La foresta si chiama Akbelen e si trova nell’ovest dell’Anatolia, a due passi dalla costa dell’Egeo.

Le persone hanno affrontato manganelli, lacrimogeni e arresti, per difendere una foresta di 750 ettari. Ma l’azienda, con l’ausilio dei gendarmi, ha completato il suo piano. Ora sta trasportando i tronchi degli alberi tagliati in «massima sicurezza».

IL SUOLO, RIMASTO nudo dopo la distruzione di più di 10mila alberi, nei prossimi giorni sarà privato dalla vegetazione e così un ecosistema secolare scomparirà. La lotta ambientalista è in corso da cinque anni, manifestandosi in diverse forme: assemblee popolari, azioni legali, relazioni degli esperti, presidi. Ma i tribunali locali, basandosi sui regolamenti ministeriali e ignorando le richieste della popolazione locale, hanno sempre difeso l’azienda che gestisce la miniera, Limak, un’importante e potente realtà imprenditoriale.

Limak è un’azienda edile nata nel 1976 che opera anche nei settori del turismo, dell’energia, delle infrastrutture, degli aeroporti e della gestione portuale. Secondo la rivista Engineering News Record, nel 2012 risultava essere la numero 181 tra le aziende più grandi del mondo. Il suo proprietario, Nihat Ozdemir, secondo la rivista Forbes, nel giugno 2016 possedeva un fatturato che superava i tre miliardi di euro.

Tra i lavori pubblici realizzati finora da Limak, ci sono l’aeroporto Sabiha Gokcen di Istanbul, l’aeroporto di Pristina in Albania, diverse centrali idroelettriche e alberghi di lusso tra Turchia e Cipro, l’aeroporto di Yuzhny in Russia, la stazione ferroviaria ad alta velocità di Ankara e la ristrutturazione dello stadio del Barça, che si vanta di essere una struttura «sostenibile».

LIMAK HOLDING è anche una delle cinque aziende che hanno costruito il terzo aeroporto di Istanbul. Infine, insieme all’azienda indiana Punj Lloyd, Limak ha vinto l’appalto per costruire la quarta parte del gasdotto Tap/Tanap che attraverserà la Turchia.

Limak, come gli altri suoi partner, vive principalmente grazie alle opere pubbliche commissionate dall’attuale governo. Spesso, queste opere causano notevoli danni all’ambiente e dal punto di vista economico risultano fallimentari, come ad esempio il terzo aeroporto di Istanbul o il ponte sullo stretto dei Dardanelli.

Inoltre, il proprietario dell’azienda, Nihat Ozdemir, sempre schierato con il governo centrale, è stato accusato di far parte di un sistema virtuale di corruzione tra alcuni imprenditori, che si aiutano reciprocamente per controllare i media in Turchia ed eliminare eventuali critiche ai loro progetti.

Non è comunque l’unica azienda in Turchia che sta devastando l’ambiente con fondi pubblici e ciò che sta accadendo a Milas in questi giorni purtroppo non rappresenta l’unico attacco alla natura.

TALAT CETIN fa parte del Movimento ecologico della Mesopotamia (Meh), che lotta da più di dieci anni contro lo sfruttamento dell’acqua e il consumo del suolo. «La costruzione delle miniere ha l’obiettivo di distruggere i boschi, esattamente come le dighe e le centrali idroelettriche che privano la popolazione dell’acqua, sia per l’uso domestico che per l’agricoltura. In questi anni abbiamo censito numerose miniere aperte e chiuse nell’arco di un anno, varie dighe costruite ma mai utilizzate e tante centrali idroelettriche che producono una piccola quantità di energia».

Secondo Talat, la distruzione dell’ambiente con queste opere inutili, dannose e di vecchio stampo ha alcuni precisi obiettivi: «Prima di tutto, creano uno spostamento della popolazione dalle zone rurali alle città.

Ciò comporta un notevole cambiamento negativo a livello agricolo e alimentare. Le aree verdi abbondanti diventano più vulnerabili, facilitando gli eventuali incendi e le distruzioni. Infine, in alcune zone, soprattutto nel sud-est del paese, lo spopolamento forzato ha anche l’obiettivo di distruggere le resistenze locali e le opposizioni politiche».

IN TURCHIA, nascono e crescono vari fiumi che scorrono verso Siria e Iraq, due paesi spesso in conflitto con Ankara. Pertanto, secondo Talat, il controllo dell’acqua rappresenta anche un elemento di ricatto politico nei confronti degli Stati vicini.

Inoltre, il Meh sta portando avanti un lavoro di censimento degli alberi distrutti per incendi pianificati e per dare spazio alle grandi opere. «Solo sul Monte Judi ogni anno vengono distrutte 1.200 tonnellate di alberi. In questa zona in particolare, dove muore una foresta, sorgono caserme o miniere. La distruzione dell’ambiente è legata anche al concetto di “sicurezza”».

Il governo centrale turco ha firmato l’Accordo di Parigi nel 2021 e ha dichiarato di avere l’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2053. Tuttavia, Ankara non ha ancora fissato una data limite per porre fine all’uso del carbone e continua ostinatamente a promuovere i piani per raddoppiare la capacità delle centrali elettriche a carbone esistenti e aumentare la quota di carbone nella produzione di elettricità, nonostante l’impegno dell’Accordo di Parigi sul clima.

Nel frattempo, in Turchia, le foreste vengono distrutte per fare spazio alle miniere e ogni estate si verificano incendi difficilmente controllabili. Nel 2021, nell’area di Mugla, un incendio ha distrutto una zona forestale pari a 16mila ettari.

COME SI PUÒ notare, gli attacchi contro la natura non si limitano alla foresta di Akbelen, dove migliaia di persone stanno attualmente lottando. In Turchia sta avvenendo un vero e proprio «ecocidio» con l’obiettivo di cambiare il sistema ecologico del Paese, arricchire le «aziende amiche» attraverso opere inutili e dannose, ricattare i paesi vicini tramite il controllo dell’acqua e reprimere coloro che si oppongono a questo piano.

* Fonte/autore: Murat Cinar, il manifesto

 

 

Photo by ANF News



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