L’emittente pan-araba ha affermato che si è trattato di un attacco mirato e non di un errore, a causa della sua vicinanza alla causa palestinese e a Hezbollah. Il premier libanese Mikati ha parlato di «un tentativo di far tacere i media» aggiungendo che «non ci sono limiti ai crimini israeliani». Le forze israeliane, che si sono dette al corrente dell’accaduto, hanno precisato che si tratta di «un’area con attività ostili, dove ci sono scambi di colpi. La presenza (di giornalisti) nell’area è pericolosa». Una piccola folla ha accolto le salme di Farah e Rabih a Bir Hassan, roccaforte sciita nella periferia a sud di Beirut dove si trova la sede centrale di Al-Mayadeen, assieme alla famiglia e ai colleghi, in un clima di sconforto e tristezza.

Un altro videoreporter, Issam Abdallah dell’agenzia Reuters, era stato ucciso ad Alma al-Shaab in una simile circostanza circa un mese fa, mentre sei suoi colleghi di Al-Jazeera, Reuters e Afp erano rimasti feriti. Lunedì 13 novembre, presso il villaggio libanese di Yaroun, l’esercito israeliano aveva bombardato un sito dove si trovavano una dozzina di giornalisti di media locali e internazionali, ferendo lievemente un inviato di Al-Jazeera e danneggiando un veicolo dell’emittente qatarina, oltre che le attrezzature. In tutte e tre le circostanze si è trattato di professionisti esperti che indossavano elmetti, giubbotti antiproiettile o si trovavano su veicoli con in evidenza la scritta Press, stampa.

Dall’inizio del conflitto a Gaza sono 53 i giornalisti e lavoratori dei media che hanno perso la vita lavorando: 46 palestinesi, quattro israeliani e tre libanesi, come riporta la ong americana Comitato per la Protezione dei Giornalisti.

Gli scontri si sono intensificati nel sud del Libano in risposta all’attacco ai giornalisti e Hezbollah ha detto di aver raggiunto vari obiettivi militari. L’aviazione israeliana ha colpito sempre ieri, nella periferia di Tiro, un’auto con a bordo quattro combattenti di Hamas, uccidendoli. È stata resa nota da Hamas anche la morte di uno dei suoi capi Khalil Hamid al-Kharaz. Sono circa 80 i combattenti del Partito di Dio e di altri gruppi affini deceduti dall’inizio del conflitto, sei i militari israeliani.

Anche un’ottantenne è rimasta vittima dei bombardamenti ieri nella sua casa a Kfar Kila, nella periferia di Marjayouneh, facendo salire a 13 il numero dei civili libanesi morti negli scontri dall’8 ottobre; tre quelli israeliani. Si contano inoltre circa 30mila sfollati nel sud del Libano e 65mila nel nord di Israele.

Israele è stata accusata ripetutamente negli anni di avere come target i giornalisti. Il ricordo va certamente a Shireen Abu Akleh di Al-Jazeera, uccisa nel maggio dell’anno scorso in Cisgiordania. L’esercito israeliano, che aveva in un primo momento dato la colpa ai gruppi di miliziani palestinesi, aveva poi ammesso la propria responsabilità «accidentale». A novembre 2022 il Dipartimento di giustizia americano ha aperto un’inchiesta che Israele ha condannato e a cui rifiuta di collaborare.

 

* Fonte/autore: Pasquale Porciello, il manifesto