Kiev sul baratro, Fmi spinge per ristrutturare il suo debito

Kiev sul baratro, Fmi spinge per ristrutturare il suo debito

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La situa­zione eco­no­mica dell’Ucraina è sem­pre più vicina al col­lasso. Quelle appena tra­scorse sono state gior­nate di intense trat­ta­tive tra Kiev e i rap­pre­sen­tanti dei suoi cre­di­tori inter­na­zio­nali (ame­ri­cani, bra­si­liani e russi) per una fati­cosa e forse pro­ba­bile ristrut­tu­ra­zione del debito estero, che ammonta a circa 23 miliardi di dollari.

Kiev, attra­verso i pro­pri organi mini­ste­riali ha pro­po­sto un piano nei giorni pre­ce­denti, che dovrà essere valu­tato: una prima risposa a quanto pro­po­sto dalla mini­stra delle finanza, Nata­lia Yare­sko, dovrebbe arri­vare oggi. Il Fondo mone­ta­rio spinge per una solu­zione posi­tiva e con­ti­nua a rila­sciare tran­che — l’ultima di 1,7 miliardi il 25 luglio — del mega soste­gno pro­messo (e già ero­gato in parte) subito dopo la con­qui­sta del potere da parte di Yatse­niuk e com­pa­gnia, men­tre i cre­di­tori sem­brano meno pro­pensi a con­ce­dere un taglio (che secondo fonti vicine a Kiev potrebbe essere del 40 per cento).

Secondo Foreign Policy tra una tran­che e l’altra, l’aiuto del Fondo mone­ta­rio per Kiev ammon­te­rebbe ad oltre 40 miliardi di dol­lari in totale e dovrebbe pro­prio ser­vire a sta­bi­liz­zare l’economia nazio­nale, in cam­bio di riforme non ancora specificate.

Ma il Fmi sa bene che una ristrut­tu­ra­zione del debito è neces­sa­ria, affin­ché i pro­pri soldi non fini­scano a Mosca, usati da Kiev per pagare il debito di circa 3 miliardi di dol­lari con­tratto con Putin (da Yanu­ko­vich e che scade nel dicem­bre 2015). Gli stessi cre­di­tori pur essendo con­trari a un taglio del debito, sanno bene che senza trat­tare rischiano di tro­varsi con un pugno di mosche in mano, per­ché le con­di­zioni dell’Ucraina fanno sì che sia alta­mente impro­ba­bile un paga­mento completo.

Straor­di­na­ria, in ogni caso, la situa­zione che ci tro­viamo di fronte: da un lato c’è Atene con un governo di sini­stra, messa all’angolo e costretta ad accet­tare un nuovo piano «lacrime e san­gue», senza l’ombra di un soste­gno. Dall’altro lato c’è l’Ucraina dell’oligarca Poro­shenko, gra­dito a Usa e Fmi, soste­nuto nel dia­logo pro­prio da Lagarde e dai tanti uomini d’affari ame­ri­cani, invi­tati recen­te­mente dal pro­prio governo a inve­stire nel paese.

Senza par­lare, natu­ral­mente, dell’attenzione media­tica che si è dedi­cata alla Gre­cia, insieme al ten­ta­tivo della stampa inter­na­zio­nale, spe­cie quella ita­liana, di distrug­gere media­ti­ca­mente Tsi­pras e Syriza, a fronte della rap­pre­sen­ta­zione com­ple­ta­mente diversa da Kiev, preda di oli­gar­chi, neo­na­zi­sti ormai in aperto con­flitto con il governo e con una situa­zione eco­no­mica che potrebbe tran­quil­la­mente essere con­si­de­rata peg­gio della Gre­cia, ma descritta come un esem­pio demo­cra­tico da con­trap­porre all’autoritarismo putiniano.

Una prima toppa finan­zia­ria da Kiev è arri­vata in extre­mis, la scorsa set­ti­mana, con il paga­mento di 120 milioni di dol­lari di debito che hanno scan­sato di un sof­fio la ban­ca­rotta, ma il qua­dro gene­rale resta grave. Non a caso, chi si occupa con serietà di que­ste vicende economico-finanziarie, ovvero la stampa ame­ri­cana inte­res­sata a capire la dif­fi­cile situa­zione che vede agire in un qua­dro geo­po­li­tico anche Mosca, assume toni piut­to­sto preoccupati.

La situa­zione, come spie­gato nei giorni scorsi dal Finan­cial Times, è «ben nota»: dopo la Maj­dan che ha ribal­tato la natura poli­tica del potere di Kiev, con la cac­ciata di Yanu­ko­vich e l’arrivo di un governo gra­dito a Usa, Ue e Fondo mone­ta­rio (con Washing­ton impe­gnata in prima linea durante i giorni caldi degli scon­tri di piazza) il paese ha intra­preso una rapida strada verso la ban­ca­rotta (non che prima la situa­zione fosse straor­di­na­ria, ma si può affer­mare fosse deci­sa­mente meno dra­stica almeno nell’immediato).

La con­tra­zione eco­no­mica è stata del 10 per cento e il debito del paese è sulla via di diven­tare il 95 per cento del pro­dotto interno lordo. Non solo, per­ché a que­sto si sono aggiunti pro­blemi ener­ge­tici. I pro­getti per la for­ni­tura di shale gas di Shell e Che­vron sono stati bloc­cati allo scop­pio del con­flitto con le regioni orien­tali e pro­prio la guerra con il Don­bass ha pra­ti­ca­mente stac­cato dal paese le for­ni­ture di oltre 300 miniere loca­liz­zate nelle regioni dell’est.

L’annessione russa alla Cri­mea ha con­tri­buito a spe­gnere i rifor­ni­menti di gas che arri­va­vano dalla Cher­no­mor­nef­te­gaz dal Mar nero. Que­sto ha por­tato come con­se­guenza prin­ci­pale la forte dipen­denza dell’Ucraina dal Suda­frica, dall’Australia e da altre parti dell’Europa. Que­sto tipo di for­ni­ture — inol­tre — non sono pro­pria­mente «cheap» e si tratta di clienti che prima di dare, chie­dono i soldi, subito.

Il quo­ti­diano bri­tan­nico tra l’altro aggiunge una con­si­de­ra­zione non da poco: «il rischio di default non è qual­cosa che coin­vol­ge­rebbe solo cre­di­tori e inve­sti­tori. Il rischio è che la situa­zione eco­no­mica sia tal­mente com­pli­cata da spin­gere molti ucraini a scap­pare dal paese, creando una situa­zione al limite sui con­fini porosi di Polo­nia, Roma­nia, Unghe­ria e Slo­vac­chia». Se l’Europa non rie­sce a gestire il numero limi­tato di per­sone che arriva dal Medi­ter­ra­neo, scrive ilFinan­cial Times, «figu­ra­tevi il panico e il caos di fronte a un esodo di ucraini».



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