Ma quelle cifre sui patrimoni sono molto discutibili

Ma quelle cifre sui patrimoni sono molto discutibili

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MISURARE LE diseguaglianze delle ricchezze è un esercizio tanto affascinante quanto difficile. Nella maggior parte dei Paesi del mondo non esistono infatti delle anagrafi patrimoniali, da cui gli economisti possano attingere per calcolare questo tipo di disparità. I dati sul reddito sono, invece, ben più semplici da trovare: basta chiedere ai governi, che praticamente ovunque tassano i cittadini sulla base di quanto guadagnano ogni anno.

Questo problema metodologico ci deve rendere cauti quando ci avviciniamo a qualsiasi studio che sostenga di aver registrato un nuovo record negli squilibri patrimoniali tra l’ormai famigerato “1 per cento” e tutti gli altri. Dal bestseller di Thomas Piketty, Il Capitale nel XXI secolo, che più di ogni altro lavoro ha colto lo Zeitgeist egualitario della nostra epoca, allo studio di Oxfam di questa settimana, non vi è ricerca che possa dirsi immune da una sostanziale incertezza statistica.

L’ultimo invito alla prudenza arriva da un lavoro di Luigi Guiso, professore di economia all’Istituto Einaudi di Roma, e di tre suoi collaboratori, presentato solo qualche settimana fa agli incontri di San Francisco della American Economic Association, la più prestigiosa società scientifica della disciplina.

Lo studio utilizza dati provenienti dalla Norvegia, uno dei pochi Paesi del mondo a raccogliere informazioni sia sul patrimonio sia sul reddito dei suoi cittadini. Questa peculiarità permette a Guiso e colleghi di confrontare l’andamento effettivo della diseguaglianza dei patrimoni con il trend che si ottiene provando a ricostruire la ricchezza a partire dai dati sul reddito, una strategia alternativa indiretta utilizzata in passato sia da Piketty, sia da suoi collaboratori come Emmanuel Saez e Gabriel Zucman.

Lo studio, di prossima pubblicazione per il National Bureau of Economic Research, mostra come partire dai dati sui redditi possa portare a sovrastimare le disparità. Per esempio, nel caso norvegese, si finisce per attribuire all’1 per cento o al 5 per cento più ricco una quota del patrimonio nazionale più alta di quella che realmente possiede. Altre misure, per esempio quella relativa alla porzione di ricchezza dell’1 per mille più facoltoso, vengono invece sottostimate.

Non esistono alternative perfette: le indagini campionarie, come quella condotta in Gran Bretagna dall’Ufficio nazionale di statistica, tendono di solito a minimizzare il gap. La ragione è semplice: i più ricchi tendono spesso a mentire sulla reale entità del loro patrimonio, mentre i poveri sono generalmente più onesti nel compilare il questionario.

Lo scetticismo è pertanto d’obbligo, soprattutto quando si ha a che fare con studi transnazionali come quello di Oxfam o che coprono lunghi periodi storici come quello di Piketty. La diseguaglianza è un tema troppo importante per essere ignorato, ma anche per essere discusso tralasciando le difficoltà che esistono nel misurarla.



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