Eco-attivismo contro la perdita del futuro

Eco-attivismo contro la perdita del futuro

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Per la filosofa Judith Butler le azioni in difesa del clima come quelle di Ultima generazione sono necessarie. Ma servono anche spazi pubblici per affrontare il rischio della fine del futuro

Judith Butler, filosofa femminista e teorica radicale, lo scorso 11 maggio ha parlato a Venezia, a Palazzo Grassi, di arte e attivismo. A proposito di quel discorso, il cui testo è stato anticipato da questo giornale, le abbiamo posto alcune domande sulla repressione che subiscono i movimenti ambientalisti in Italia, ma anche in Germania e Francia.

I movimenti per la giustizia climatica sono sotto attacco e rischiano condanne molto pesanti. Nel caso di Ultima generazione, gli attivisti simulano di danneggiare le opere d’arte allo scopo di evidenziare che la distruzione di un dipinto o di un monumento ci terrorizza, ma quella del pianeta terra ci lascia indifferenti. È questa contraddizione a scatenare la repressione giudiziaria?
Abbiamo molte ragioni di preoccuparci quando gli ambientalisti che cercano di porre all’attenzione dei media la distruzione climatica sono marchiati come terroristi interni o soggetti a pene detentive e ammende pesanti. La categoria del terrorista interno continua ad allargarsi in molti paesi «democratici» per giustificare lo stato di sorveglianza e controllo. Anche gli atti di radunarsi, fondamentali in ogni società democratica, sono descritti come minacce alla sicurezza o alla salute pubblica. Dunque, bisogna contrastare l’allargamento di queste forme repressive e disciplinari.

La linguista Vera Gheno ha fatto notare che molti politici e diversi giornali hanno battezzato gli attivisti «eco-vandali». Lei sostiene che questo termine rimanda alle invasioni barbariche, dunque riattiva il frame dell’invasione selvaggia contro il sacro suolo. Del resto, il ministro della cultura del governo Meloni Gennaro Sangiuliano invocando una legge speciale contro le azioni ambientaliste ha detto che chiunque colpisca i monumenti attacca la patria, e va considerato alla stregua di un traditore della nazione. Qual è la relazione tra nazionalismo e negazionismo climatico?
Certo, ci sono forme di nazionalismo che condannano ogni minaccia a musei o oggetti d’arte come aggressioni alla patria. Accade anche in Francia, come se gli eco-attivisti lanciassero un coltello contro il cuore patriarcale della nazione. Allo stesso tempo, è importante distinguere tra l’arte della quale abbiamo bisogno per comprendere la distruzione climatica e combattere il negazionismo e l’arte che viene per rappresentare lo stato-nazione e il suo nazionalismo. È anche importante distinguere tra musei nazionali o statali che fanno al caso della patria, il patrimonio e il patriarcato e quegli spazi artistici nei quali trova posto il pensiero radicale. Il problema non è l’arte. L’arte è probabilmente parte della soluzione nella misura in cui ha il potere di contestare il negazionismo e di condurci a pensare al futuro che scompare.

Questi attivisti spesso sono stigmatizzati per i loro messaggi apocalittici, eppure lentamente stanno scavando nelle coscienze collettive. Siamo di fronte a una specie di millenarismo al contrario. Se le narrazioni millenariste prevedono che si salvino soltanto pochi eletti che hanno visto la luce, qui la fine del mondo è annunciata per salvare le moltitudini.
Abbiamo bisogno di amplificare quel messaggio tramite un dibattito pubblico più ampio e forme più larghe di elaborazione e pratiche di riorganizzazione a diversi livelli delle società. Alcune forme di attivismo climatico dipendono dal potere del momento. Ma se il momento dipende dal ciclo dei media, viene dimenticato troppo presto. Come adoperiamo quel messaggio decisivo e come sfidiamo ogni istituzione a guardare in faccia la devastazione? In altri termini, come si trasforma lo shock momentaneo delle azioni per il clima in un cambiamento politico necessario e di lungo corso?

Nelle tue riflessioni su «ambiente, arte e politica» sostieni che le discussioni a proposito della relazione tra arte e vita hanno bisogno di spazi pubblici nei quali la «distruzione imminente» possa essere elaborata, come accade per il lutto. È questo il passaggio che occorre perché questi movimenti divengano pienamente «politici»?
Tutti e tutte noi che combattiamo il negazionismo, a un certo punto dobbiamo rispondere a una domanda: cosa è la negazione? Cioè, come nasce e si sostiene, a difesa di quali interessi si riproduce? Il negazionismo climatico è qualcosa che ognuno abbraccia a diversi livelli, il punto è trovare le pratiche fermino la distruzione e comincino la rigenerazione. Possiamo appena permetterci di riconoscere la perdita che abbiamo davanti, la perdita che stiamo producendo. Guardarla in faccia coincide con la perdita della vita, la perdita del futuro, e come si fanno i conti con il dolore per una perdita del genere? È facile sfuggire a questa domanda. Allora, quali pratiche, quali pratiche artistiche, possono farci convivere con quello che abbiamo perduto, stiamo perdendo, perderemo in modo che quel dolore possa far nascere la resistenza e una politica per la vita?

* Fonte/autore: Giuliano Santoro, il manifesto



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