Questo si legge, fra l’altro, nella Dichiarazione delle Donne globali per la pace unite contro la Nato (Global Women for Peace United Against Nato) aperta al maggior numero di firme a livello internazionale, nel cammino verso il 75mo compleanno – nel 2024 – del Patto atlantico. Si preannuncia, per le 120 associazioni da 36 paesi, un anno di impegno per «la pace globale, una sicurezza non militarizzata e un nuovo ordine mondiale che abolisca la guerra».

A Bruxelles, sede dell’Alleanza, le donne antiNato (senza escludere gli uomini) si sono riunite nei giorni scorsi per tre intense giornate, in presenza e online, con relazioni, manifestazioni e incontri. Anche con un diplomatico Nato, «che ci ha raccontato le favolette dell’impegno per la libertà» ha riferito poi Ulla Klotzer, finlandese.

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L’unica intesa è sull’aumento delle spese militari

I DANNI ECOLOGICI, sociali, sanitari, economici del «militarismo tossico» e del triliardario complesso militar-industriale (spendere per distruggere) con la sua ragnatela globale di basi e truppe, si sommano alle conseguenze delle guerre dirette e per procura condotte da un’Alleanza che veniva data per obsoleta alla fine della guerra fredda ed è invece stata capace di espandersi raddoppiando i propri membri, di camuffarsi da paladina dei diritti a mezzo di bombe, di sviluppare alleanze con paesi pur non membri (Partnership for Peace). E perfino di darsi una verniciata di verde parlando di decarbonizzazione, quando è evidente l’incompatibilità fra il militarismo basato sui fossili e una riconversione globale per la difesa del clima (vi si è soffermata Tamara Lorincz, esperta e attivista della Lega internazionale delle donne per la pace e la libertà – Wilpf).

Shinako Oyakawa, una mamma militante del “popolo senza nazione” Ryukyu ha ricordato la lotta decennale contro la base Usa a Okinawa in Giappone. Le donne per la pace a Bruxelles hanno auspicato un’alleanza di pace fra le isole pacifiche, mediterranee e latinoamericane, occupate dalle basi. Guam (vittima in prima linea anche dei cambiamenti climatici, come ha ricordato Moneaka Flores), Diego Garcia, Portorico, Sardegna… Luoghi nei quali l’impegno per sfrattare le basi è importante.

E a volte vincente. Come ha spiegato Holda Guerrero, giovane attivista della Colombia, il governo progressista di Gustavo Petro ha bloccato il progetto di base militare Usa nell’isola di Gorgona. E ricordiamo anni fa la chiusura della base Usa di Manta, nell’Ecuador di Rafael Correa.

Sono 160 i paesi non membri della Nato e molti di loro hanno una postura neutrale (seppure spesso contraddittoria). Il Movimento dei non allineati sembra riprendere vigore e il cosiddetto Sud globale mostra volontà di mediazione internazionale, si pensi al caso ucraino. Attiviste e attivisti dall’Africa e afrodiscendenti hanno accusato l’Occidente di sommare al debito coloniale e alla rapina di materie prime i pesanti effetti continentali di “Protettore unificato”, sette mesi di bombe in Libia nel 2011. Medea Benjamin di Codepink Ua ha evocato alcune crepe interne all’alleanza, viste le dichiarazioni tutto sommato dialoganti da parte di diversi candidati alle elezioni presidenziali statunitensi del 2024, e l’impatto negativo sull’Europa delle sanzioni alla Russia.

Scontata, dalla tre giorni a Bruxelles, la condanna dell’invio e dell’eventuale uso in Ucraina di armi illegali come le bombe a grappolo e i proiettili a uranio impoverito. Rja Verjau, belga, e Tore Naeland, norvegese (di Bike for Peace), hanno sottolineato quanto sia importante rendere visibili le vittime di questi ordigni, insieme a quelle dei bombardamenti e dell’occupazione militare dei territori.

Insomma, benché dopo il picco del 2003 il mondo del pacifismo sia in crisi, la morale è: «Non possiamo sparire perché abbiamo ragione».

* Fonte/autore: Marinella Correggia, il manifesto