L’ULTIMA MATTINA di Cop28 era iniziata con la prospettiva di un dibattito infuocato. Per tutta la notte la distanza tra le Parti era sembrata enorme, ma la lunga serie di incontri durati fino all’alba ha evidentemente dato i suoi frutti. Il testo è stato approvato in tempo record – sono bastati pochi minuti – e senza nessuna obiezione dalle Parti. Forse persino troppo in fretta. Subito dopo l’adozione del documento ha preso parola la rappresentante dell’Alleanza dei piccoli stati insulari, Anne Rasmussen, lamentando che al momento di chiusura la loro delegazione fosse ancora fuori dall’aula.

«Questo processo ci ha deluso. Abbiamo fatto passi avanti incrementali quando ci servirebbe un salto esponenziale» è la parte finale del suo discorso, accolta dalla standing ovation di metà della sala. Ma la rottura non c’è: le micro-nazioni del Pacifico non possono o non vogliono far fallire il negoziato, e il testo ormai è approvato. Pur con qualche eccezione, tutti i commenti degli Stati sono di soddisfazione per gli esiti.

Ma cosa prevede il Global Stocktake, la spina dorsale della risoluzione finale? Quello sul fossile è stato il dibattito più raccontato. L’High Coalition Ambition, un gruppo negoziale sostanzialmente capitanato dai paesi europei, aveva scelto l’inserimento dell’espressione «phase-out», abbandono, come risultato minimo accettabile. Improponibile per i paesi Opec. La presidenza ha trovato un compromesso sulla locuzione «transitioning away», letteralmente «allontanarsi» dal fossile. Un virtuosismo semantico che lascia spazio a interpretazioni e per questo mette d’accordo tutti, petromonarchie comprese.

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SPARISCE IN QUESTO passaggio del documento l’espressione unabated – usata dalla lobby del fossile per suggerire che, con futuristici sistemi di cattura e stoccaggio della Co2, si potrebbe salvaguardare la produzione di energia sporca. Ma i sistemi di cattura e stoccaggio ricompaiono tra le soluzioni poco sotto, assieme ai combustibili di transizione – linguaggio in codice per il gas -, all’idrogeno e al nucleare. Rimangono gli importanti obiettivi di triplicazione delle rinnovabili e di raddoppio dell’efficienza entro il 2030. Scompare invece la rapida chiusura del carbone. L’invito a transitare al di fuori del fossile – questa è la traduzione più letterale – dovrebbe concretizzarsi nelle emissioni nette zero al 2050. Niente date intermedie dunque, come il picco di emissioni al 2025.

QUASI NULLA DI FATTO su finanza e adattamento, i temi più cari al Sud globale. Portata a casa l’istituzione di un fondo loss&damage – un sistema di risarcimenti per i danni della crisi climatica nel sud globale, importantissimo ma per ora spaventosamente sottofinanziato – non si registrano altre novità di rilievo. Alla Cop29 di Baku, in Azerbaijan, si discuterà dell’aggiornamento degli obiettivi di finanza climatica per il lustro 2025-2030. Mentre alla Cop30 di Belém, in Brasile, gli Stati riscriveranno i propri piani nazionali di transizione.

Sono le ore delle analisi. Per Greenpeace «non è il risultato storico che serviva, ma l’era dei combustibili fossili è al tramonto». Per il giornalista britannico Ed King, tra i più ascoltati nel mondo Unfccc, «è sicuramente una presa di posizione. Ma dobbiamo essere chiari. Non c’è nessun finanziamento di rilievo. Molti i riferimenti ai combustibili di transizione, ovvero il gas, e alla cattura della Co2. È un’accozzaglia». La sensazione prevalente è quella di un testo a là carte, che mette insieme elementi avanzati con altri fortemente insufficienti – e rischia di lasciar libere le Parti di leggere solo ciò che preferiscono.

DI CERTO C’È che, come gli osservatori ripetono da settimane, per un vero successo era necessario uno scambio e tanta fiducia. Il Nord globale doveva mostrarsi disposto a finanziare massicciamente mitigazione ed adattamento in Africa, Asia e America latina. Il Sud del mondo, in cambio, doveva accettare un compromesso ambizioso sul phase-out. Solo un tacito accordo del genere, magari capitanato da Cina e Stati Uniti, avrebbe potuto affrontare il blocco degli irriducibili – in primis i sauditi. Ma niente di tutto questo è successo, e forse non ce ne erano le condizioni. Pur investendo anche su energia e infrastrutture verdi, nessuna delle grandi potenze globali ha la transizione come priorità. Mentre al contrario chi vive di combustibili fossili vede nella transizione il suo nemico esistenziale.

LE COP SONO ANCHE i canarini nella miniera del mondo fossile, finestra aperta sui rapporti di forza tra chi scommette sulla crisi climatica e chi, invece, la vorrebbe evitare. L’inserimento di frasi relative all’uscita dal fossile e gli interventi a gamba tesa dell’Opec – l’associazione produttori di petrolio mai così aggressiva durante una Conferenza per il clima – sono il segno che la transizione è una possibilità concreta. Il vaghissimo esito – o, fuori dal negoziato, i progetti oil & gas che continuano a venire approvati – sono il segno che la risoluzione della crisi climatica è tutto fuorché a portata di mano.

IL COMMENTO PIÙ DURO e più ottimista insieme, intanto, è di Antònio Guterres. Il segretario generale delle Nazioni Unite ha scritto su X: «Che vi piaccia o meno, l’abbandono dei combustibili fossili è inevitabile. Speriamo che non arrivi troppo tardi».

* Fonte/autore: Lorenzo Tecleme, il manifesto