Migranti. La Corte di Strasburgo respinge il ricorso di Sea Watch

Migranti. La Corte di Strasburgo respinge il ricorso di Sea Watch

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«Ricorso respinto». Non sono ancora le sei del pomeriggio quando la decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) piomba come una doccia fredda sul ponte arroventato dal sole della Sea Watch 3, ma non dà sollievo a nessuno. Anzi. La bocciatura dei magistrati di Strasburgo alla richiesta, avanzata dalla comandate Carola Rackete e da 42 migranti, di spingere perché il governo italiano desse il via libera allo sbarco non potrebbe essere più netta. No anche alla possibilità di scendere a terra per i due minori, due ragazzi di 12 anni che ancora si trovano a bordo. La corte ha infatti dichiarato la propria incompetenza a prendere una decisione visto che – dopo lo sbarco dei migranti in precarie condizioni di salute – al momento non esiste sulla nave uno stato d’emergenza. E i certificati medici delle persone che hanno subito torture durante la detenzione nei centri libici non sono sufficienti a cambiare le cose, visto che nessuna di loro è in imminente pericolo di vita. Quindi niente emergenza, che equivale a niente sbarco.

STRASBURGO sembra dare ragione a Matteo Salvini che con la ong tedesca da una parte e l’Unione europea dall’altra, ha ingaggiato da tempo un braccio di ferro durissimo. E infatti il ministro dell’Interno non nasconde la sua soddisfazione: «Anche la Corte europea di Strasburgo conferma la scelta di ordine, buon senso, legalità e giustizia dell’Italia: porti chiusi ai trafficanti di esseri umani e ai loro complici». Opposto, e durissimo, il commento di Salvatore Fachile, avvocato che ha seguito la vicenda del ricorso e che parla di «un atto di vigliaccheria» da parte dei giudici. «Per certi versi la sentenza equivale a un epitaffio che la corte scrive su se stessa e sulla sua competenza a tutelare i diritti fondamentali delle persone non europee, anche lì dove è uno Stato europeo che li sottopone a un attacco sistematico».

La sentenza complica e molto la situazione della Sea Watch 3, giunta ormai al suo tredicesimo giorno di navigazione e a bordo della quale le condizioni di vita si fanno ogni minuto più pesanti. Al punto che anche il garante nazionale dei detenuti, mauro Palma, ha presentato un esposto alla procura di Roma perché verifichi la situazione: Il garante non può né intende intervenire sulle scelte politiche», è scritto nell’esposto. «Tuttavia è suo dovere agire per fare cessare eventuali violazione della libertà personale che potrebbero far incorrere il Paese in sanzioni i sede internazionale». In particolare, conclude Palma, «ribadisce che le persone e le loro vite non possono mai divenire strumento di pressione in trattative e confronti tra Stati».

LE CONDIZIONI DI VITA a bordo sono state spiegate ieri da Giorgia Linardi: «La temperatura durante il giorno è alta, le persone sono sul ponte al caldo, la notte dormono sul ponte: non siamo su una nave da crociera», ha spiegato la portavoce. La ong ha girato un video in cui uno dei migranti salvati lancia l’allarme: «Non ce la facciamo più, la barca è piccola e non possiamo muoverci, non c’è spazio», ha spiegato. «L’Italia non ci autorizza a sbarcare, chiediamo i vostro aiuto, chiediamo l’aiuto delle persone a terra. Pensateci, perché qui non è facile».

Un appello drammatico, che rende ancora più urgente la ricerca di una soluzione. Per questo da almeno quattro giorni Carola Rackete sta ragionando sulla possibilità di dichiarare lo stato d’emergenza e di forzare il divieto di ingresso nelle acque territoriali italiane, mettendo così la parola fine a una situazione che rischia di diventare ingestibile. Una decisione delicata visto che, oltre alla possibilità di vedersi contestato il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, sulla base di quanto previsto dal decreto sicurezza bis potrebbe costarle una sanzione tra i 10 mila e i 50 mila euro. Una decisione sulla quale la giovane comandante sta ragionando con i responsabili della ong e con i legali che l’assistono e la consigliano, ma che alla fine spetta solo a lei. Il ricorso alla Cedu rappresentava una tappa intermedia ma comunque non in grado di modificare una decisione che sembra già presa. Al punto che la Sea Watch 3 potrebbe aver raggiunto già nella notte il porto di Lampedusa.

* Fonte:Carlo Lania, IL MANIFESTO



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