L’industria della morte. Italia +86% di armi, guadagna più di tutti dalle guerre

L’industria della morte. Italia +86% di armi, guadagna più di tutti dalle guerre

Loading

Rapporto Stockholm International Peace Research Institute (Sipri): record delle esportazioni in 4 anni, al sesto posto nell’economia di morte. Industria bellica a pieno regime dopo gli Stati Uniti, Francia, Russia, Cina e Germania. Bonelli (Avs): “È vergognoso che il Qatar importi più armi dal nostro paese, in uno scambio con il gas. Il Qatar è accusato di fornire armi anche a Hamas”

 

L’Italia è il paese che sta guadagnando di più dalle guerre in corso. Ha aumentato più di ogni altro paese le sue esportazioni di armi: l’86% tra il 2019 e il 2023. Questo boom ha fatto fare un balzo alla sua quota nell’export mondiale di pistole, proiettili e quant’altro. Tra il 2014 e il 2018 valeva il 2,2 per cento, oggi esporta il 4,3. L’Italia è così diventata il sesto paese esportatore mondiale, dopo Stati Uniti, Francia, Russia, Cina e Germania. I suoi clienti principali sono Qatar, Egitto e Kuwait. Si tratta di un record superiore a quello francese. L’industria della distruzione di questo paese si è piazzata al secondo posto con +47 per cento, un aumento prodotto soprattutto dalla vendita dei suoi aerei da combattimento.

SONO I DATI dell’ultimo report pubblicato ieri dallo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), un gruppo di scienziati svedesi amanti della pace che tengono sotto controllo le fibrillazioni della terra e quelle prodotte dal commercio delle armi. «È vergognoso – ha detto Angelo Bonelli, co-portavoce di Europa Verde alleato con Sinistra Italiana in parlamento (Avs) – che il paese che importa più armi dal nostro paese sia proprio il Qatar, in uno scambio di armi per il gas che è moralmente riprovevole alla luce delle accuse che vedono armi fornite dal Qatar finire nelle mani di organizzazioni terroristiche come Hamas. Ma Giorgia Meloni, che ne dice di questa vergogna? Questo accordo evidenzia una doppia dipendenza nociva del nostro Paese: dai combustibili fossili e da regimi che non esitano a sfruttare il mercato delle armi per i propri fini ambigui, calpestando la vita e i diritti umani».

LA REDAZIONE CONSIGLIA:

Entriamo in guerra? Mai dire mai

NELL’ ECONOMIA DI GUERRA tracciata dal rapporto sui flussi commerciali militari si è rafforzata anche la concorrenza interna all’Unione Europea. Se da un lato, la Francia e soprattutto l’Italia hanno registrato un aumento del loro export, altri paesi hanno invece perso contratti. La Germania ha perso il 14 per cento del suo export in armi, la Gran Bretagna il 14, la Spagna il 3,3. Israele, considerato afferente all’economia europea, avrebbe perso il 25 per cento nel periodo considerato.

IL SIPRI ha segnalato che i principali importatori delle armi europee sono in Asia, Oceania e Medio oriente, dove si trovano nove paesi dei dieci maggiori importatori. Il 55 per cento delle armi importate dagli alleati europei arrivano dagli Stati Uniti, era il 35 per cento nel periodo 2018-2018. Gli Stati Uniti in questo periodo hanno aumentato del 17 per cento le armi esportate nel mondo.

LA GUERRA RUSSA in Ucraina, e il rilancio della Nato, hanno modificato gli equilibri in questo mercato di morte. Mentre gli Stati Uniti, e i loro alleati militari, aumentavano le loro esportazioni, nello stesso periodo quelle della Russia si sono dimezzate (meno 53 per cento). Mosca ha perso volumi e clienti: nel 2019 ha venduto a 31 Paesi, nel 2023 a 12. Il 68 del suo export è diretto in Asia e Oceania, il 34 per cento in India, il 21 per cento in Cina.

LE IMPORTAZIONI di armi da parte della Cina sono diminuite del 44 per cento dal 2019 al 2023 rispetto ai cinque anni precedenti, collocando il Paese asiatico al decimo posto nella lista dei maggiori acquirenti mondiali di armamenti stranieri. Nel quadriennio analizzato dal Sipri la Cina ha mantenuto una quota elevata di acquisti dalla Russia, che ha contribuito al 77 per cento delle importazioni nel paese asiatico, seguita dalla Francia con una quota del 13 per cento. L’Ucraina, le cui importazioni si sono attestate all’8,2 per cento, è rimasta la principale fonte d’approvvigionamento di turbine a gas per cacciatorpediniere, oltre che di motori per aerei da combattimento leggeri e da addestramento L-15.

L’UCRAINA è il quarto importatore di armi nel mondo. Il principale nel 2023. Almeno 30 paesi riforniscono Kiev dopo l’inizio dell’invasione russa. Fra il 2019 e il 2023, i rifornimenti a Kiev hanno assorbito il 23 per cento delle importazioni in Europa.

PER CHI STA AL VERTICE della Fortezza Europa, e si sta adoperando ad armare questa sghemba aggregazione tecno-burocratica di Stati-Nazione combattenti, il problema è gestire la concorrenza interna sulle armi ed equilibrarla con quella esterna. Un esempio dei toni bellicisti che spirano nel continente, anche in vista delle elezioni europee del 9 giugno, è quello del presidente del Consiglio Europeo Charles Michel. Per MIchel la soluzione si chiama «European Peace Facility».

LA REDAZIONE CONSIGLIA:

Più armi per tutti in Europa. Von der Leyen: «Faremo come con i vaccini»

IN UNA PRIMA FASE il conflitto russo-ucraino «ha incoraggiato l’industria europea a produrre di più. E ha permesso un meccanismo di solidarietà per la sostituzione degli stock» di munizioni. Ora, però, si tratta di strutturare investimenti e coordinamento affinché le industrie europee non si facciano concorrenza. C’è una proposta di Thierry Breton, commissario europeo per il mercato interno e i servizi della commissione Ue, che vorrebbe sviluppare un «mercato unico della difesa». L’uso della Banca Europea degli investimenti (Bei) potrebbe essere inoltre ripensato in questa prospettiva.

«DOBBIAMO potenziare molto velocemente la nostra capacità industriale di difesa nei prossimi cinque anni» ha aggiunto la presidente della Commissione Ue Ursula Von Der Leyen. «L’Europa – ha aggiunto – deve spendere di più» per la difesa, dando priorità agli «appalti congiunti». «Proprio come abbiamo fatto con i vaccini o con il gas naturale».

DIRIMENTE, in questa torsione dei vertici europei, è stata la guerra in Ucraina. Secondo l’«alto rappresentante» della politica estera Ue, lo spagnolo Josep Borrell (un socialista), «il conflitto si è evoluto da una guerra di scorte a una guerra di produzione». Borrell ieri ha aggiunto che la produzione di munizioni deve essere ulteriormente incrementata perché limitata «non tanto dalla mancanza di capacità produttiva, ma piuttosto dalla mancanza di ordini e finanziamenti», aggiungendo che i leader del settore sostengono che «effettuando ordini ne produrremo di più». Borrell ha invitato gli Stati membri a lavorare insieme, sottolineando che «non stanno ancora coordinando la pianificazione e gli appalti della difesa».

LA REDAZIONE CONSIGLIA:

L’Europa va alla guerra con gli Eurobond

PAOLO GENTILONI, commissario Ue all’Economia (ex presidente del consiglio, in quota Pd), ha inoltre ipotizzato il ricorso agli «Eurobond» per finanziare un piano di riarmo da 100 miliardi di euro «all’anno». Progetti che con ogni probabilità continueranno anche con la prossima commissione Ue. E contemplano anche l’ipotesi estrema, quella dettata la lucido delirio del presidente francese Macron secondo il quale non andrebbe esclusa «una guerra con Putin». Cioè un conflitto nucleare.

LA REDAZIONE CONSIGLIA:

«Non escludo truppe di terra», Macron schianta l’ultimo tabù

NELL’ATTESA, ha aggiunto Macron, bisogna «assicurarsi di avere la giusta quantità di materiale e la superiorità tecnologica di cui potremmo avere bisogno in futuro». In queste uscite pesano, tra l’altro, le avvisaglie di un cambiamento politico di rilievo negli Stati Uniti: il paventato ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump dal quale si attende un cambiamento della strategia della Nato (che ha comunque chiesto l’aumento della spesa militare al 2 per cento del Pil) e del finanziamento della guerra in Ucraina.

* Fonte/autore: Roberto Ciccarelli, il manifesto



Related Articles

Spagna di nuovo al voto, dopo sei mesi di stallo

Loading

A sinistra molta astensione, liste che finiranno per favorire le destre e Unidas Podemos, la coalizione formada da Podemos, Izquierda Unida e vari movimenti locali, che si gioca il terzo posto con la destra estrema di Vox

Fratelli musulmani, voltafaccia d’Egitto

Loading

ElBaradei: «Gli egiziani hanno sacrificato le loro vite per la libertà  non per la tirannia di una maggioranza»

La lunga mediazione del “Leone d’Egitto” Così Al Sisi ha piegato i leader integralisti

Loading

Per quasi due mesi il presidente egiziano ha tessuto la sua rete diplomatica, facendo ritrovare al Cairo il ruolo di guida del Medio Oriente perduto negli ultimi anni

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment