Pronta la spartizione della Libia tra Putin ed Erdogan
Arrivare a un cessate il fuoco e far rispettare l’embargo di armi alla Libia. Al termine del vertice straordinario dei ministri degli Esteri dei 28, convocato per parlare delle crisi libica ma anche di Iran e Iraq, l’impressione che si ha è che l’Europa sia sempre un passo indietro rispetto a quanto accade nel paese nordafricano. Ora Bruxelles chiede di fermare le forniture di armamenti dopo che da tempo la Turchia per una parte (Serraj) e la Russia per l’altra (Haftar) riforniscono non solo di armi, ma anche di droni e blindati entrambi i contendenti. Senza contare i mercenari russi che agiscono per il generale della Cirenaica e il piccolo contingente di 35 soldati turchi, probabile avanguardia di un movimento di truppe più ampio, da qualche giorno impegnati nella difesa di Tripoli e che si sono aggiunti alle milizie turcomanne già presenti. Invocare poi il rispetto dell’embargo dopo aver privato delle navi la missione europea Sophia, che tra i suoi compiti aveva anche quello, evidenzia ancora di più la miopia dell’azione diplomatica europea.
Anche perché mentre a Bruxelles si cerca di parlare «con una voce sola», come anche ieri ha chiesto il ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio, a ulteriore dimostrazione del ritardo con cui ci si muove c’è il fatto che Erdogan e Putin, dopo aver praticamente ordinato ai contendenti il cessate il fuoco, continuano invece a muoversi come gli unici che sembrano in grado di trovare una soluzione alla crisi. Lunedì i ministri degli Esteri e della Difesa turchi, Cavusoglu e Akar, si recheranno a Mosca con il capo dei servizi segreti Fidan per discutere di Libia e Siria con le controparti russe. Se non sarà l’avvio di una spartizione del paese nordafricano sulla traccia di quanto già accaduto in Siria, ci assomiglia molto.
Per capirsi, il vertice di ieri non è servito neanche a decidere la data di quando dovrebbe tenersi la più volte annunciata conferenza di pace di Berlino. «Al più presto», ha invocato al termine dell’incontro Di Maio, per il quale non deve essere stato semplice far dimenticare agli alleati gli errori compiuti dall’Italia negli ultimi giorni. Di certo la conferenza non si terrà prima del 24 gennaio, giorno in cui la cancelliera tedesca Merkel incontrerà Erdogan ad Ankara proprio per provare a convincerlo a partecipare. Secondo il settimanale Spiegel l’incontro dovrebbe servire anche per ricordare al presidente turco che deve rispettare l’accordo sui migranti firmato nel 2016 con l’Unione europea, viste le continue minacce turche di farlo saltare.
E di profughi, ancora una volta visti come un potenziale pericolo e non come ulteriori vittime ella guerra, ha parlato ieri anche Josep Borrell. «Ci sono almeno 700 mila persone che vengono dai paesi del sub-Sahara», ha detto il capo della diplomazia Ue. «Molti lavorano in Libia e non tutti vogliono venire in Europa, ma a seconda della situazione possono andarsene perché potrebbero perdere il lavoro». Borrell ha indicato anche altri due potenziali pericoli: il primo riguarda il terrorismo («sempre più viene individuata la presenza di combattenti che vengono dalla Siria e dal Sudan») e il secondo i «rischio di destabilizzazione della regione». Escluso invece che soldati europei possano intervenire in Libia. «Quello di cui la Libia ha urgente bisogno è una de-escalation, non di truppe», ha spiegato il ministro degli estero olandese Stef Blok.
E l’Italia? Terminato il viaggio diplomatico del ministro Di Maio, a partire è il premier Conte che lunedì sarà in Turchia per incontrare Erdogan per poi recarsi in Egitto (da confermare) e successivamente in Arabia Saudita. Tutti attori decisivi nel determinare i futuro della Libia.
* Fonte: Leo Lancari, il manifesto
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